Titan, questo il nome volutamente evocativo del piccolo sommergibile, poco più di una capsula, che sta vagando nel fondo degli abissi atlantici. La sua meta, il relitto del Titanic, sprofondato sui fondali inesplorati 111 anni fa, portando la morte a 1500 uomini donne e bambini nel primo viaggio transoceanico di quella nave eccezionale. E il mondo intero sta col fiato sospeso per la sorte dei cinque ospiti in viaggio: se sono vivi, sanno, sappiamo, che restano poche ore d’aria. E che solo un miracolo potrebbe portarli in superficie. Sono magnati, un inglese, un francese, due pachistani, padre e figlio, un americano, il proprietario della società OceanGate che organizza queste spedizioni da paura, facendo firmare per tre volte ai partecipanti una carta con lo scritto: “sono cosciente di poter morire”.



Pare strano, ma anche chi cammina sulle rotaie di un treno, chi si lancia col deltaplano, chi cammina su un filo tra i grattacieli sa di rischiare, e senza neppure spendere 250mila dollari, il prezzo dell’azzardo. Per soddisfare l’eterna attrattiva del pericolo, e anche il ghiribizzo di chi, avendo i soldi, può buttarli a mare, per semplice curiosità e sfizio di essere unico. Naturalmente ne ha facoltà e diritto, ma c’è qualcosa di malato, nella ricerca esagerata di questa unicità, nei costi economici e umani che si è disposti a rischiare, senza neppure lanciarsi all’avventura, alla scoperta, come tanti pionieri della storia che hanno speso soldi tempo e vite per imprese titaniche, queste sì, che hanno aperto spazi e mondi all’umanità. Polo, Colombo e Magellano, Amundsen, Gagarin e i quattro dell’Apollo 13 ad esempio.



E c’è qualcosa di stonato anche nell’attenzione morbosa dei media, e nostra, nel seguire la sorte di questa sfortunata e inutile spedizione. Perché qualche giorno fa vicino alle coste della greca e omerica Pilos si è compiuta la più grande strage di migranti del Mediterraneo, e i corpi riemergono poco a poco, nella totale indifferenza e abitudine dei nostri cuori.

Niente prediche, niente giudizi moralistici e sotto sotto venati di odio sociale sui cinque milionari attratti dalle oscurità. Chiediamoci noi, il motivo di un così impari interesse. E domandiamoci anche il senso di una sfrenata e temeraria volontà di sfidare la morte. Forse proprio la mancanza di senso per vivere. E a questa, neanche i soldi possono porre rimedio. Chissà cosa pensano, come passano le ore a scadenza quei cinque uomini, che dolore o rassegnazione stanno soffrendo, soli, in balia della natura che è sempre matrigna, quando ci si mette in gara.



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