Mentre in Italia la variante Omicron si sta diffondendo a pieno ritmo, in Danimarca, Israele e Regno Unito si sta già osservando una sua sottovariante, definita Omicron 2. In Gran Bretagna ci sarebbero già 53 casi di persone infettate, 20 i casi registrati in Israele. Gli studi sono ovviamente appena all’inizio e si sa molto poco di questa “variante della variante”: si comincia a ipotizzare che possa essere ancora più diffusiva di Omicron 1, perché conterebbe più mutazioni, ma, allo stesso tempo, non c’è alcuna evidenza sul fatto che possa essere più letale o in grado di “bucare” i vaccini.



Lo sostiene anche il professor Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di malattie infettive al PoliclinicoGemelli, da noi intervistato: “E’ ancora troppo presto per esprimere un giudizio su che tipo di variante sia. La speranza è che non sia più contagiosa di Omicron 1, che era già molto infettante di suo, perché sarebbe un bel problema”. E’ normale che in natura, ci ha detto ancora Cauda, “e soprattutto con questo tipo di virus si manifestino sottovarianti, allo stesso tempo questo ci dice che è necessario eseguire un maggior numero di sequenze, l’unica strada per capire cosa sta succedendo al Covid”.



La Danimarca, paese dove si fanno più sequenziamenti al mondo, ha individuato per prima una sottovariante di Omicron, che si sta già diffondendo in Europa. Potrà arrivare anche in Italia?

La prima cosa che va detta è che la Danimarca ci indica come è fondamentale fare un alto numero di sequenziamenti per identificare meglio il virus e come si sta comportando. Allo stesso tempo, non sempre a queste nuove sequenze segue un impatto epidemiologico grave.

Troppo presto per fare previsioni quindi?

Il virus si modifica, questo lo sappiamo. Ricordiamo la variante Delta, che ha avuto anch’essa una sottovariante, la Delta Plus, rivelatasi poi non così importante ai fini epidemiologici. Bisogna osservare con attenzione quel che accadrà.



Le varianti delle varianti sono un fenomeno conosciuto che è giusto tenere sotto osservazione?

Siamo in presenza di un virus comparso due anni fa, quindi le conoscenze non sono ancora così evidenti. Che si possano verificare delle sottovarianti, mutazioni aggiuntive o diverse rispetto a quelle che ci sono su una variante, è tecnicamente possibile in un virus di questo tipo. Non siamo davanti a qualcosa di inusuale. E’ come se ci fossero mutazioni maggiori e qualcuna minore, che è qualcosa di vicino al virus di partenza. In questo caso Omicron si contraddistingue per qualche peculiarità.

Secondo i primi studi sarebbe ancor più trasmissibile della variante Omicron. Questo cosa comporterebbe?

Sì, c’è l’ipotesi che possa essere più trasmissibile, il che sarebbe un problema ancor più grave perché l’R con zero  (il numero di riproduzione di base, indicato e conosciuto come R, indica, in epidemiologia, la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva non controllata, ndr) di questa variante, cioè il livello di persone infettate da un soggetto già contagiato, è molto alto. Una persona sappiamo che può infettarne da 15 a 17, tre volte più di Delta. Se questa fosse ancor più trasmissibile, evidentemente le problematiche crescerebbero, però non sappiamo ancora che impatto clinico potrà avere. Omicron, ormai possiamo dirlo con relativa certezza, è sicuramente meno grave di Delta.

Ogni ondata che abbiamo subìto è stata caratterizzata da una variante diversa. È così? E questo vuol dire che dovremmo affrontare altre varianti?

Questo è possibile, ma anche no. Ogni ondata ha un picco e poi una decrescita. La prima variante, quella della primavera 2020, potevamo chiamarla variante italiana, perché rispetto al virus originale era già una mutazione. Venne chiamata D614G, che poi è risultata presente in tutte le altre varianti. Poi, tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, abbiamo avuto la variante inglese, denominata Alfa, e in primavera/estate la variante indiana, denominata Delta.

Oggi Omicron: dopo aver imperversato in lungo e in largo, che segnali abbiamo della sua presenza?

Tutte le varianti hanno un inizio e una fine. Il picco di Omicron dovrebbe esaurirsi in 7 o 8 settimane: abbiamo l’esempio del Regno Unito e del Sudafrica che ce lo conferma. I numeri tenderebbero a indicare un rallentamento della curva, il raggiungimento del plateau e quindi la discesa ormai prossima, che porterà alla riduzione dei contagi tra fine febbraio e inizio marzo. Il che significa, poi, la riduzione dei ricoveri, delle terapie intensive e infine anche dei decessi.

(Paolo Vites)

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