LE NUOVE ACCUSE ALLA COOP DELLA FAMIGLIA SOUMAHORO: I MIGRANTI NELL’HOTEL DICHIARATO FALLITO

Il caso delle cooperative di migranti della famiglia di Aboubakar Soumahoro è certamente un vulnus politico non da poco per la sinistra italiana, ma anche una costante “fucina” di novità di indagini che dalla Procura di Latina arrivano ormai ogni giorno sulle prime pagine nazionali. Nell’intervista rilasciata oggi a “Libero Quotidiano”, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi attacca con forza il “business lucroso” sull’immigrazione invocando l’intervento dell’Europa per governare al meglio i flussi ed evitare situazioni come troppo spesso accadono nel nostro Paese: in merito allo scandalo della famiglia Soumahoro, il Ministro si tiene alla larga limitandosi a sostenere «di solito non commento fatti che costituiscono oggetto di approfondimenti in corso. Ma voglio dire che la quasi totalità dei soggetti coinvolti nell’accoglienza agisce con autentico spirito solidale. Con alcuni di essi, come la Comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese evangeliche, abbiamo accordi specifici per realizzare corridoi umanitari. Il loro lavoro non deve essere offuscato da quei singoli casi riguardanti chi persegue business lucrosi con tanto di testimonial».



Nel frattempo, dalla risma di fonti giunte dagli inquirenti nelle scorse ore a diversi quotidiani nazionali, emerge un nuovo potenziale scandalo raccontato da “il Giornale”: in pratica nel 2014 la coop “Karibu” – una delle due di proprietà della suocera di Aboubakar Soumahoro, Marie Therese Mukamitsindo (indagata per malversazione, truffa e false fatturazioni) – avrebbe sistemato i migranti accolti nelle proprie strutture all’interno di un hotel di Latina. Il problema è che tale struttura era stata dichiarata fallita un anno prima: è l’Hotel de la Ville di Latina, che all’epoca era un quattro stelle: nonostante questo, fu sottoposto a fallimento nel 2013 a causa di istanze di tre creditori. La struttura sarebbe dovuta essere affidata a un curatore fallimentare per poi essere venduta in un’asta pubblica per potenziali nuovi proprietari: in pratica però una società privata continuò ad affittare le camere dell’hotel ai turisti, come testimoniano le recensioni su Tripadvisor negli anni successivi. È in quell’Hotel che la coop di famiglia Soumahoro piazza diversi migranti con un contratto di locazione avvenuto però senza contestazione e controlli d’ogni tipo. Tra i principali elementi di indagine dei pm vi è proprio il rapporto tra le coop dei Soumahoro e le amministrazioni locali, con accuse (tutte da verificare) di bandi acquisiti in origine e mai poi verificate, o gestioni amministrate senza alcun controllo.



INDAGINI “NON È L’ARENA” SUI SOLDI AL COGNATO DI ABOUBAKAR SOUMAHORO

Dalle indagini “nostrane” a quelle internazionali, il caso del deputato di Verdi e Sinistra Italiana “autosospeso” dal gruppo parlamentare arriva fino in Rwanda: mentre infatti proseguono le indagini sulle accuse mosse contro la suocera e la moglie di Aboubakar Soumahoro, ad entrare nella vicenda giudiziaria vi sarebbe – secondo il reportage di “Non è l’Arena” e “La Verità” – anche il cognato Richard Mutangana (figlio di Marie Therese Mukamitsindo e dunque fratello della moglie di Soumahoro, Liliane Murekatete). Nel reportage esclusivo mostrato ieri “Non è l’Arena” di Massimo Giletti dalla capitale Kigali mostra i rapporti finanziari interconnessi tra la coop “Karibu” e una cooperativa ruandese (con sede in Italia) nota come “Jambo Africa”: in particolare, all’attenzione è un bonifico a 1.314.512 euro inviato dalla “Karibu” alla Jambo Africa.



Il bonifico è del 27 aprile 2018 ed è rimasto ‘attenzionato’ dall’Antiriciclaggio in Italia per operazioni non del tutto chiare: da queste indagini emerge come vi sia un’altra società nota come “Karibu Africa” e con sede questa volta tutta in Rwanda. «Qui sono arrivati denari importanti, è una società di Richard Mutangana», spiega Giletti introducendo il reportage di Carlo Marsilli. «Io non sono stato pagato, tantissimi non sono stati pagati perché da Ministeri, Prefettura e Comuni dal 2014 nessuno ci dava più fondi», spiega il cognato di Soumahoro all’inviato di “Non è l’Arena”. La difesa del manager di “Karibu Africa” è che di tutti i fondi di cui parlano in questi giorni media e inquirenti in realtà alle cooperative di accoglienza migranti non si erano mai visti: alla tesi giornalistica che soldi ingenti dall’Italia tramite “Karibu” siano arrivati in Rwanda per fare affari commerciali e finanziari, Mutangana nega tutto «questo non è mai successo. C’era il mio stipendio e quello di mia moglie, basta. Abbiamo aperto un alimentari che è poi diventato un ristorante, ma è stato chiuso nel giugno 2018». Al momento prove effettive di fondi continui dall’Italia al Rwanda ci sarebbero secondo “Non è l’Arena” ma il cognato di Soumahoro – che ha mostrato anche la casa piuttosto sobria in cui vive – nega tutto: «vi stanno prendendo in giro. Non è vero niente», commenta drastico il manager-cognato.