Il sovraffollamento ha raggiunto livelli record nelle carceri italiane. Questo provoca una serie di difficoltà e problemi mano a mano crescenti. Ad aumentare, poi, sono anche le tensioni, come è inevitabile che sia: sempre di più le aggressioni, i tentati suicidi e le liti. A fine novembre, erano 60.116 i detenuti a fronte di 51.272 posti regolamentari. Sotto il governo Meloni, inoltre, si registrano 4 mila detenuti in più. Come spiega La Stampa, non c’entrano i nuovi reati “promessi” dall’esecutivo ma la sospensione della corsia preferenziale verso i benefici carcerari, che permettevano discreti periodi fuori dal penitenziario. In alcune carceri, il rapporto tra persone e spazi è accettabile, mentre altre dove è esplosivo.



Il giorno di Natale, i radicali e alcuni avvocati hanno visitato le Vallette di Torino. Mario Barbaro, del partito radicale, ha raccontato: “Il sovraffollamento è molto elevato: sono presenti poco meno di 1.400 detenuti su una capienza regolamentare di circa 1.000, dato pressoché stabile nella sua gravità. Anche l’organico di polizia penitenziaria è sottodimensionato: circa 700 agenti rispetto a una pianta organica di circa 900″. Il livello di degrado delle celle è altissimo: “Si comprende bene il difficilissimo compito che la polizia penitenziaria deve affrontare ogni giorno. Solo quest’anno sono una quarantina le aggressioni fisiche ai danni del personale“.



Sovraffollamento in carcere: perché ci sono più detenuti?

L’associazione Antigone è preoccupata. Il sovraffollamento delle carceri ha una serie di conseguenze gravissime, che partono con le aggressioni ai danni del personale fino all’alto tasso di suicidi: “L’irrigidimento normativo del governo Meloni è forte, ma data la cronica lentezza della giustizia ne vedremo gli effetti sul carcere solo tra due o tre anni. Nel frattempo, però, avendo sospeso i benefici straordinari del Covid, a parità di entrate si stanno riducendo le uscite perché meno detenuti riescono ad accedere alle misure alternative” ha spiegato il presidente Patrizio Gonnella. Il Covid aveva permesso infatti l’introduzione di alcune novità positive: più telefonate, più videochiamate a casa. Adesso, invece, la vita in carcere si è irrigidita nuovamente e sono aumentate le tensioni, così come il numero dei rapporti disciplinari.



Mancano invece le condizioni della “buona condotta“: molti non possono più beneficiare della legge del 1975. La “buona condotta” permette dei conteggi molto favorevoli quando si sconta la pena: infatti, si cancellano 45 giorni ogni sei mesi di pena, pari a 3 mesi per ogni anno. Il sovraffollamento, dunque, è un effetto e non una causa delle tensioni, spiega La Stampa. Per Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, “nel tempo è anche cambiata l’antropologia del detenuto. C’è meno criminalità organizzata e più sottoproletariato composto da migranti, drogati, sbandati. Gente che non “sa farsi la galera”, come si diceva una volta”.