Era uno spacciatore, ma il tribunale lo ha riconosciuto vittima del racket di giovani che vengono impiegati in attività criminali e quindi gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato. È successo a Venezia, dove un giovane tunisino sembrava ormai perduto come spacciatore, tra droga, un accoltellamento e poi il carcere. Ma il progetto N.A.Ve. (Network Antitratta per il Veneto) gli ha dato una seconda possibilità. La vicenda risale al 2015, quando il ragazzo viene avvicinato da un connazionale che facendo leva sulle difficoltà economiche gli organizza un viaggio, anticipandone la spesa, per l’Europa, con la promessa di un buon lavoro.



Scappato dal centro in cui venne accolto, il ragazzo raggiunge il conoscente a Padova, dove però scopre che il lavoro che doveva svolgere era quello di spacciatore nella zona di Mestre. Già nel 2016 viene arrestato, poi la condanna a 9 mesi e a 1.400 euro. Il caso è stato ricostruito dal Gazzettino. Il magrebino viene segnalato per un programma di protezione speciale, che però abbandona a causa delle pressioni dello sfruttatore via Facebook, ma pure delle minacce subite dalla madre per mano di uomini legati alla banda dello sfruttatore.



“ERA MINORE ALLO SBANDO, MA ORA…”

Il giovane tunisino torna a fare lo spacciatore, finendo per diventare anche consumatore. Accoltella una persona all’addome al culmine di una lite e quindi nel 2018 è di nuovo arrestato, riportando una condanna questa volta a 3 anni e 4 mesi. In carcere matura la decisione di uscire da quella rete di sfruttamento, ma nel 2021 la sua domanda di protezione internazionale viene rigettata dalla sezione di Padova della Commissione territoriale per il riconoscimento, secondo cui può essere solo rilasciato un permesso di soggiorno per protezione speciale.



A questo punto subentra il progetto sopracitato, con l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza e la sentenza della Corte d’Appello. Per i giudici era “un minore allo sbando, indotto a delinquere per necessità, in un contesto di degrado culturale e sociale“, ma ora che ha 26 anni “non fa più uso di sostanze e sta con caparbietà portando avanti il suo percorso di allontanamento dall’ambiente criminale e di integrazione sociale, dimostrando costanza e serietà nel lavoro“. Per questo gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato.