MINNEAPOLISCi libereremo mai del male? L’unica domanda che mi balza in petto e si stampa nel cervello mentre leggo di questo nuovo mass shooting, l’unica domanda che non riguarda solo norme, controlli, restrizioni, e divieti, insomma l’unica domanda che non riguarda solo gli altri è questa. Quando poi ci sono di mezzo i bambini la domanda diventa grido, si fa ancora più straziante e radicale. Ci potremmo – e dovremmo – liberare delle assault weapons, quelle armi che mettono i brividi solo ad immaginarle e che ci fanno pensare a quello che sta succedendo in Ucraina ed in tante parti del mondo. Ma in una scuola per bimbi piccoli…



Nashville, Tennessee, terra e patria della musica country, stamattina ha vissuto i suoi quindici minuti di terrore, ed ora piange tutto il suo dolore, con quel senso di smarrimento che lascia senza parole quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non si può capire. Si sa poco di quello che è successo alla Covenant School, una piccola scuola privata, presbiteriana, con poco più di duecento ragazzini tra asilo e classi elementari. Si sa che una giovane donna, una ventottenne (pare già studentessa della Covenant), è entrata da una porta laterale nei locali della scuola armata “almeno” di due assault weapons ed una pistola, facendo fuoco ed uccidendo tre bimbi e due adulti, per poi finire lei stessa uccisa dalla polizia intervenuta nel giro di pochissimi minuti. Per ora, mentre scrivo, di più non si sa.



Sapete quanti mass shooting abbiamo vissuto dall’inizio dell’anno? 129! Questo di Nashville è il mass shooting numero 129! Al di là delle definizioni e delle statistiche (se proprio volete andatevi a guardare il Gun Violence Archive), la verità è che non c’è luogo sicuro, non un angolo del Paese risparmiato da questa piaga, è accaduto e può accadere ovunque: scuole di ogni ordine e grado, chiese, sinagoghe, congregazioni, night clubs, cinema, luoghi di lavoro, circoli privati, centri commerciali, uffici postali, persino McDonald’s. Quante volte mi sono ritrovato a scrivere di queste incomprensibili tragedie e dell’infinito dolore che portano? Dalla sala cinematografica di Aurora in Colorado al martirio di 27 esseri umani (di cui 20 bambini) a Sandy Hook in Connecticut, alle 60 vite spezzate da Stephen Paddock a Las Vegas nel 2017.



Ci si abitua? Be’, purtroppo un po’ sì. La tragica routine si ripete, dopo il sangue arrivano gli appelli (come quello di Biden di poco fa) e un po’ alla volta si cerca di dimenticare. Per non avere paura. Per non pensare che la vita non è nelle mani nostre e a volte la cosa si fa molto evidente.

Certo, possiamo erigere qualche barricata, migliorare i controlli di sicurezza, possiamo limitare il libero accesso alle armi da fuoco. Dovremmo farlo, dobbiamo farlo. Che i governanti facciano quel che devono fare con senso di responsabilità, che si lavori affinché gli interessi di tutti (da chi ha in pugno l’industria delle armi a chi semplicemente ci lavora, a chi teme che queste tragedie continuino ad accadere) trovino un terreno comune. Ma nulla di tutto ciò ci libererà dal male.

C’è bisogno di qualcuno che ci liberi dal male. Libera nos a malo, liberaci dal male.

E che ognuno di noi porti la sua testimonianza di bene, perché dentro ad ogni episodio di sangue c’è sì il male, ma anche una domanda, un grido disperato di bene.

Come diceva spesso un grande amico, “C’è ancora tempo, ma non c’è più tempo da perdere”.

God Bless America!

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