Negli Usa un’altra sparatoria. Questa volta a Dayton, in Ohio e, secondo un primo comunicato della polizia, i morti dovrebbero essere 9 e 26 i feriti. L’assassino è un 24enne e si chiama – anzi, si chiamava – Connors Betts. Questa notizia, già di per sé tremenda perché la morte anche di una sola persona innocente è una catastrofe, in questo caso diventa uno tsunami perché stiamo parlando del terzo eccidio nel giro di pochi giorni.



Quanto è accaduto ieri in Ohio, infatti, era successo il giorno prima ad El Paso, in Texas: in uno shopping center Walmart, con identica dinamica, c’era stata una strage con 20 morti e 26 feriti. Anche in quel caso “un crimine d’odio”. L’assassino, anch’esso giustiziato immediatamente dalla polizia, aveva 21 anni, si chiamava Patrick Crusius, di Dallas e, secondo un post messo online addirittura nel 2017, non aveva alcun movente se non quello “di odiare gli ispanici”. Al Centro Walmart c’erano andati di mezzo anche dei bambini. Proprio come il 29 luglio scorso, al Festival di San José in California, dove Gilroy Garlic, un “suprematista”, aveva fatto 3 morti e 15 feriti, tra cui un bambino di 6 anni, una bambina di 13 anni e un ragazzo di 20 anni.



Negli Stati Uniti, il Paese che a volte pretende ancora di essere un modello per il mondo, ci sono state nel giro di pochi giorni tre stragi identiche che si possono raccontare con pochissime parole: un assassino che ha per movente la più pura follia ideologica entra in un luogo affollato e comincia a sparare sulla gente cercando di fare più morti possibile.

Per capire “il salto di qualità” in negativo di cui stiamo parlando è necessario sottolineare che abbiamo davanti stragi del tutto diverse da quelle mosse da “normali” motivazioni. Non ci sono cioè motivi né politici né religiosi; neppure quelli collegati con la vendetta, la rapina, la malavita organizzata, il denaro o una qualsiasi delle altre ragioni senza ragione che la mente umana “normale” conosce.
Per noi europei diventa ormai francamente impossibile comprendere come avvenga che gli Stati Uniti consentano una simile commistione tra armi e vita quotidiana. Eppure è così. Pare che tuttora il 70% dei cittadini degli Stati Uniti sia favorevole al possesso e all’uso di armi da fuoco. Un diritto che rimane sancito dal secondo emendamento della Costituzione dove si recita: “essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben organizzata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto”. Eppure, secondo il sito Gun Violence Archive, nei primi 7 mesi del 2019, in America ci sono già stati 8.574 morti e 17.013 feriti: numeri non difficili da credere visto che solo nelle tre date che stiamo considerando – 4 agosto, 3 agosto e 29 luglio – ci sono stati 32 morti e 67 feriti.



Sforzarsi di entrare nella mentalità di un popolo che ha nella propria epica il Far West per noi è impossibile, ma quanto accaduto ieri, l’altro ieri e pochi giorni prima ci deve far riflettere sui pericoli intrinseci alla diffusione delle armi da fuoco, all’odio che diventa violenza (non dimentichiamo che nei pressi del luogo della strage di El Paso c’è l’infame centro di detenzione di Clint dove i bambini sono tenuti nelle gabbie) e all’inutilità della pena di morte.

Sì, anche quest’ultima considerazione è importante. Perché, va sottolineato, tutti e tre i killer sono stati immediatamente uccisi sul posto dalla polizia. Ma ciò non ha impedito che, il giorno dopo, spuntassero altri “eroi” pronti a ripetere le stesse stragi omicide. Quando impareremo che, come da tempo ha scoperto la civiltà, punire con la morte non ha, sui vivi, alcun effetto deterrente?