Tempo scaduto per il Pd. Così titolava ieri l’editoriale in prima pagina del Corriere della Sera. Ma, forse, sarebbe il caso di dire che è tempo scaduto per tutta la politica italiana: senza più indugi e calcoli di vario genere, è tempo ormai di ridare uno scossone al dibattito politico, e riportare tutto a un livello culturale più dignitoso rispetto a quanto visto nell’ultima, imbarazzante campagna elettorale. Pierluigi Battista, vicedirettore del Corriere e autore del citato editoriale, ripercorre in questa conversazione con ilsussidiario.net gli aspetti più rilevanti del dibattito post-elettorale.



Battista, il Pd, diceva ieri nel suo editoriale, deve riscoprire la perduta “vocazione maggioritaria”. Ma non ha l’impressione che quella vocazione sia già stata abbandonata, e che si prepari ormai il ritorno alla politica delle alleanze?

Questo è certamente il problema che sta al fondo dei travagli del Pd. Un partito le cui difficoltà nascono naturalmente dalla rovinosa sconfitta di un anno fa. Nonostante questo, Veltroni aveva promesso che avrebbe cambiato le regole del gioco: no alla rassicurante pigrizia culturale della grande coalizione anti-berlusconiana, in cui mettere dentro di tutto pur di vincere; sì alla rischiosa ma virtuosa sfida del partito a vocazione maggioritaria. Una partita che aveva generato comportamenti virtuosi anche da parte di Berlusconi. Così facendo, tra l’altro, i due contendenti avevano già un anno fa messo la parola fine sugli effetti peggiori di quella legge elettorale che ora si vorrebbe abolire.



In che senso dice che Veltroni e Berlusconi avevano superato i difetti della legge elettorale?

La legge vigente imporrebbe di fatto l’aggregazione di chiunque pur di avere un punto in più della coalizione avversaria. Questa fu la maledizione nel 2006 del governo Prodi. Avendo invece loro rinunciato alle alleanze (Veltroni con l’estrema sinistra, Berlusconi con Casini e la destra di Storace), giusto o sbagliato che fosse, avevano dimostrato di volere governi omogenei con alleanze ridotte al minimo: due grandi partiti, alleati da una parte con un partito territoriale, dall’altra con un partito un po’ sui generis come quello Di Pietro (e fu un errore di Veltroni). Ora questo schema viene sempre più abbandonato dalla sinistra, che ritorna alla ricerca di alleanze di qualunque tipo, per creare il calderone antiberlusconiano. Questo è il vero pericolo.



Al momento si tratta però, come lei dice, solo di un pericolo.

Qui si apre un altro problema: non è nemmeno chiaro a quale gioco si stia giocando. Non c’è un’aperta lotta politica tra chi sostiene un’alleanza piuttosto che un’altra. Se si vuole Di Pietro come alleato, infatti, si ha un certo progetto politico; se si vuole recuperare il centro, si ha un altro progetto; se si vuole tornare al dialogo con l’estrema sinistra, si ha un altro progetto ancora. Tutti sappiamo che esistono queste diverse anime politiche nel Pd: eppure rimangono lì a marcire, senza mai essere esplicitate fino in fondo, senza che si mettano in circolo le idee con un’aperta discussione politica. D’altronde non è certo un problema che un partito non abbia una posizione unanime. Le grandi figure della politica europea sono emerse vincendo una battaglia nel loro partito: così è stato per Blair con i laburisti, e così anche per la Merkel nella Cdu tedesca. Ma l’hanno spuntata giocando della vere partite a viso aperto. Il Pd deve fare lo stesso, o continuerà a logorarsi e a sopravvivere.

Ora uno sguardo al centrodestra. Si è detto: il Pdl non sfonda, la maggioranza comunque tiene, e diventa anzi sempre più radicata sul territorio con la netta vittoria nelle amministrative. C’è però un riequilibrio di forze in favore della Lega. Che conseguenze avrà questo dato?

La Lega certamente avrà molte più pretese di quante non ne abbia avute fino ad ora; e  in questo senso qualche malumore dalla parte più vicina a Fini già lo si vede. Ma non credo che la cosa creerà particolari problemi: la Lega ha sempre fatto scelte intelligenti da questo punto di vista, a differenza di quanto fece, ad esempio, Rifondazione con il centrosinistra. Rifondazione aveva un rapporto di conflitto permanente, su qualunque punto del dibattito. La Lega, invece, da quindici anni a questa parte è sempre stata legata in modo quasi ossessivo a due argomenti: il federalismo e la sicurezza. Ha posto questi due punti irrinunciabili, e sul resto non fa guerriglia. Una scelta intelligente e saggia, che è anche la forza di questa coalizione. Ecco perché non vedo particolari scontri all’orizzonte. Direi anzi che se il Pd dovesse tornare a ipotizzare un rapporto con l’estrema sinistra, dovrebbe prendere esempio, fissando i paletti su alcuni temi particolari, come ad esempio il lavoro, ed evitando scelte confusionarie, come le 270 pagine del libro di Prodi.

Si è detto a più riprese che questa è stata una campagna elettorale brutta; e con questo termine si intende soprattutto uno svilimento culturale del dibattito politico. Questo “abbrutimento” a cosa è dovuto?

Da una parte è evidente che chi ha lanciato questo tipo di campagna ha cercato di far rivivere una cosa che sembrava scomparsa, e che invece continua a covare sotto la cenere: la battaglia campale contro Berlusconi, costi quel che costi. Detto questo, c’è anche da aggiungere che il problema del rapporto tra pubblico e privato, per chi governa, c’è. Un presidente del consiglio deve avere certi atteggiamenti, e non altri. Non è ipocrisia; o lo è solo nei termini in cui l’ipocrisia è funzionale al vivere civile (anche la cortesia, in fondo, un po’ è ipocrita, ma giusta e utile). Quindi c’è stato sì un arretramento nel dibattito; ma al tempo stesso bisognava evitare di dare il gancio all’avversario per fare questo.

Ora su quali basi culturali bisogna rifondare il dibattito politico nel nostro paese? Ci sono punti da cui ripartire, o bisogna ricostruire tutto da zero?

Io ritengo che il comune denominatore dei problemi culturali del dibattito politico non sia la mancanza di elevatezza, ma il fatto che ci sia poca realtà. Nella discussione politico-culturale c’è una grande surrealtà, ideologica e propagandistica. Piacerebbe invece che si studiassero i fenomeni e li si portassero a soluzione. Manca generalmente la conoscenza della realtà italiana; e chi questa conoscenza ce l’ha, vince. In questo il successo dei “leghisti” – non tanto nella proiezione nazionale, quanto nel radicamento nel territorio – è molto chiaro: loro sono immersi nella realtà. Poi possono anche dare risposte sbagliate, il che è ovvio nella politica: però ci si accorge immediatamente, vedendo un sindaco leghista di un piccolo comune, che lì c’è un realismo che manca altrove, sia a destra che a sinistra. Il punto non è allora cercare una maggiore elevatezza culturale: come si dice in America, con un’espressione molto bella, il problema culturale è che bisogna farsi assalire dalla realtà. E la realtà è sempre più complicata dell’ideologia, ed esige uno studio e un impegno più sistematico.

Un’ultima riflessione sul voto europeo. Si è parlato molto di astensionismo: perché, e che segni lascia?

Penso sinceramente che l’astensionismo così massiccio sia l’ultimo esempio di un disamore che gli europei hanno per l’Europa politica. Così com’è non va: ogni volta che la gente ha avuto modo di esprimersi, votando, è emersa una grande disillusione e una distanza dai tecno-burocrati di Bruxelles. Non è una considerazione da euroscettico: la distanza tra gli europei e l’Europa politica è un fenomeno epocale e culturale molto vasto, da riconsiderare completamente.

(Rossano Salini)