Sinistra sempre più in basso, soprattutto a livello di progettualità culturale. Alleanza Pdl-Lega sempre più forte, ma con un’oscura nube all’orizzonte: la sorte di Berlusconi. L’economia mondiale e la nuova amministrazione americana hanno deciso che il Cavaliere è diventato un personaggio scomodo di cui liberarsi; e questo, com’è naturale, incide pesantemente sulla situazione politica italiana.
È questa, in estrema sintesi, l’analisi che Giulio Sapelli, ordinario di Storia economica alla Statale di Milano, offre della situazione politica italiana alla luce di quanto avvenuto nelle recenti elezioni europee e amministrative.
Professor Sapelli, come giudica innanzitutto il voto a livello europeo, dove si è registrato un crollo della sinistra?
La prima cosa che mi pare da sottolineare, sotto questo punto di vista, è la distanza tra Europa e Italia. In Europa in effetti c’è stato un tonfo dei partiti appartenenti all’area socialista, se si esclude solo il caso particolare della Grecia. D’altronde questa è la conseguenza di quanto accaduto negli anni passati: per quindici anni i socialisti non hanno fatto nulla per favorire una maggiore integrazione europea, alimentando così la crescita dei nazionalismi. Caso emblematico è il fatto che abbiano isolato un politico come Tony Blair, che era l’unico ad avere un’idea vera di Europa.
L’Italia invece ha una situazione diversa?
In Italia abbiamo innanzitutto a sinistra un partito come il Pd che non appartiene alla categoria dei partiti socialisti; non è un partito conservatore, ma non lo possiamo nemmeno definire socialista. E rispetto alla sinistra europea, il Pd crolla meno: mantiene il suo consenso laddove ha un radicamento assicurato dall’intreccio tra potere economico e politico, come accade nella Puglia di D’Alema o nelle regioni storiche della sinistra come l’Emilia Romagna e la Toscana.
Però, in termini di radicamento territoriale, è emerso anche il fatto che alle amministrative la sinistra ha avuto un risultato molto deludente. Anche sulla base di questo dato, quali prospettive si aprono per il Pd?
Il Pd si trova ancora a fare i conti col suo problema di sempre, cioè la totale carenza culturale. Il riaffacciarsi della strategia “prodian-dalemiana” in questo senso è un fatto emblematico: non si ripropone altro che quel vecchio schema di potere politico-economico. Non è un problema moralistico riguardante il rapporto tra politica e interessi: è un problema che pongo in termini scientifici, di comprensione della realtà politica ed economica italiana, in cui quello schema di potere ha avuto un ruolo fondamentale. Ma di progetto culturale non c’è nulla: l’idea prodiana del ricomporre le culture non tiene conto del fatto che le culture prima bisogna averle, per poi ricomporle. Qui invece non c’è nulla: non ho visto un libro, una rivista, nulla che non sia il semplice impasto di idee altrui.
Oltre al ritorno allo schema prodiano, si parla anche di una prospettiva diversa, che passa attraverso la spaccatura del Pd.
Certo, si potrebbe ricostituire un partito di sinistra, alleato a un partito di centro che nasca dalla fusione tra gli ex-Margherita e Casini. La candidatura di D’Alema si potrebbe collocare in questo schema. Ma qui ci sarebbe un altro problema: quest’ultima campagna elettorale “franceschiniana” ha dimostrato che i più presenti sul territorio sono gli ex-Margherita, e se si venisse a creare un centro troppo grosso la cosa costituirebbe un problema notevole per D’Alema. Comunque sia, di tutto questo non c’è lo straccio di un progetto, di un documento, niente di niente.
Inoltre, all’interno di queste prospettive di alleanze si colloca anche la variabile Di Pietro. Che realtà politica è l’Italia dei Valori?
È il frutto di quella strategia del condizionamento che le aree più oscure del Paese esercitano sulla politica. Di Pietro emerge da qualcosa che sta sotto, o sopra, di noi; oltre a questo, però, è stato in grado anche di sfoderare una grande capacità in termini di populismo. Non è una cosa nuova nella politica europea: è un po’ come il populismo della destra anti-capitalista polacca di Pilsudski, tra le due guerre, cui si unisce la questione morale affrontata al suono del tintinnio delle manette. Tra l’altro si tratta anche di un partito in evoluzione: il fatto che ora si voglia togliere il nome Di Pietro dal simbolo significa che potrebbe allargare lo spazio politico in cui pescare il consenso elettorale, insidiando anche l’elettorato di destra. Quei poteri, visibili e invisibili, che non vogliono una stabilizzazione politica in Italia hanno dunque deciso di fare di questo partito un’arma di provocazione a tutto campo.
Parlando di poteri che agiscono contro la stabilizzazione politica, verrebbe da fare subito il passaggio alla campagna anti-berlusconiana cui abbiamo assistito nell’ultimo mese. Il problema sono solo le foto imbarazzanti, o c’è qualcosa di più, come ad esempio Murdoch?
Il problema non è Murdoch, e tanto meno lo sono due foto che potrebbero avere come protagonista uno qualunque dei leader politici mondiali. Il problema viene da molto più lontano, e cioè dal Nord America: l’amministrazione Obama non vuole più Berlusconi, e quindi contro di lui è iniziata la stessa cura che è stata applicata ad Andreotti. Per altro con motivazioni che sono sempre le stesse: l’Italia non deve gestire autonomamente determinati equilibri strategici a livello mondiale. Sia i rapporti con il Mediterraneo, sia quelli con il mondo slavo, e con Putin in particolare. Per questo Berlusconi è diventato un problema, e l’impressione netta è che tutto il potere economico mondiale abbia deciso di liberarsene. D’altronde la stessa operazione Fiat-Chrysler è il segno più chiaro di questo: si tratta dell’affermazione a livello mondiale di quella parte dell’Italia che è sempre stata legata a filo diretto con l’America. E lo stesso Marchionne non è un italiano, ma un prodotto dell’economia nord-americana.
Però Berlusconi non è facile da scalzare: non avrà “sfondato”, come si dice, ma gode ancora di un ottimo consenso nel Paese.
Questo rimane il punto di forza di Berlusconi: il consenso che ha a livello personale, e il fatto che sia il capo di un partito molto forte come il Pdl, che anche in questa tornata elettorale ha dimostrato di essere tutt’altro che un partito di plastica. Poi però bisogna essere consapevoli che non si può essere autonomi rispetto all’America: facciamo quello che dobbiamo fare, ma manteniamo il contatto con gli Usa, perché non si può fare altrimenti. Frattini sta giocando molto bene in questo senso, e l’assicurazione su maggiori truppe in Afghanistan è già un segno importante.
Ultimo aspetto da analizzare delle elezioni 2009: la Lega. Sempre più forte, sempre più radicata nel territorio. Pigi Battista, su questo giornale, diceva addirittura che è l’unico partito che ha presente il vero problema culturale della politica, cioè conoscere la realtà della gente e del territorio. Quindi non solo novità politica, ma anche culturale?
La Lega è e resta certamente la novità più importante della politica italiana: un partito molto forte, molto radicato, che sa parlare alla gente con molto realismo. Un partito che sta migliorando anche come classe dirigente, che ha al suo interno anche elementi di spicco. Maroni è un grande ministro dell’Interno, che sta affrontando benissimo il problema fondamentale dell’immigrazione, anche se purtroppo siamo ormai in ritardo di dieci anni. La gente, soprattutto gli operai, questo lo capiscono. Sanno che il problema del poco valore del loro stipendio è anche dettato dalla concorrenza della manodopera straniera. Quindi votano Lega, che da questo punto di vista è la vera erede del Pci (non per nulla molti di loro sono ex-comunisti). Si aggiunga il fatto che è un partito però legato solo a una parte dell’Italia, e che a livello nazionale raggiunge solo il 10%. Quindi l’intelligenza politica di Bossi e Maroni li porterà a mantenere saldo il rapporto con il Pdl. L’alleanza alla base di questa maggioranza rimane forte. Il problema rimane quello detto prima: Berlusconi e l’America.
(Rossano Salini)