Walter Bonatti e La spedizione italiana al K2
Il 31 luglio 1954 gli alpinisti italiani Achille Compagnoni e Lino Lacedelli raggiunsero, per la prima volta nella storia, la vetta del K2, la seconda montagna più alta del mondo (8.616 metri). Un contributo fondamentale fu dato dal giovanissimo Walter Bonatti (24 anni) e Amir Mahdi che, rischiando la morte in un forzato bivacco notturno a oltre 8100 metri, trasportarono a Compagnoni e a Lacedelli le bombole d’ossigeno essenziali per il compimento della missione. La spedizione, patrocinata dal Club Alpino Italiano, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Istituto Geografico Militare e dallo Stato italiano, era guidata da Ardito Desio. La via seguita fu lo Sperone degli Abruzzi, aperta nel 1909 da Luigi Amedeo duca degli Abruzzi. Sulle ultime ore che hanno preceduto la scalata si aprì un “caso” che durò per oltre cinquant’anni. Da un lato la versione ufficiale di Compagnoni e di Desio, dall’altro quella di Walter Bonatti.
La spedizione italiana al K2: la versione di Ardito Desio
Subito dopo il ritorno degli alpinisti dalla spedizione al K2, Ardito Desio presentò al Club Alpino Italiano un resoconto degli eventi che fu adottato come relazione ufficiale della spedizione. Walter Bonatti notò alcune discrepanze tra gli eventi e il racconto. Oltre ad alcune dissonanze sulle comunicazioni tra la coppia Lacedelli-Compagnoni con Bonatti-Mahdi, la quota del bivacco notturno veniva segnata a quota 7900 metri, notevolmente più in basso. Anche gli orari non coincidevano.
Un altro particolare poco chiaro riguardava l’uso dell’ossigeno: Compagnoni sosteneva che le bombole si erano esaurite verso le 16.00, quando i due alpinisti si trovavano a quota 8400, circa 200 metri sotto la vetta. Bonatti riteneva che la versione ufficiale sminuisse il suo contributo ma, come tutti i partecipanti, aveva firmato con Desio un contratto che impediva di fare dichiarazioni sulla spedizione per alcuni anni.
Nel 1961 uscì l’autobiografia di Bonatti “Le mie montagne” in cui l’alpinista dedicava un capitolo intero al racconto degli eventi del K2. Il giornalista Nino Giglio lo accusò di aver cercato di superare, per ambizione, i compagni incaricati di raggiungere la vetta e di aver anche consumato parte dell’ossigeno.
La spedizione italiana al K2: la versione di Walter Bonatti
Negli anni, con articoli, interviste e volumi, Walter Bonatti ha cercato di far valere il suo punto di vista: “Incredibilmente mi trovai isolato e solo a lottare contro una pubblica diffamazione che nasceva da quell’impresa voluta e patrocinata dal CAI, per la cui riuscita io avevo dato il meglio di me stesso sfiorando la morte”. Bonatti smentiva passo per passo la ricostruzione ufficiale: “Quanto dico non è certo per pignoleria… la mia chiarificazione, lo ripeto, è soprattutto per rendere giustizia e restituire il senso logico delle decisioni da me prese quella notte del 30 luglio 1954”.
L’esito della perizia della commissione speciale del CAI per fare luce sui fatti successi durante la spedizione italiana al K2 rivela che…
Nel 2004 in vista cinquantesimo anniversario della spedizione, il CAI incaricò una commissione formata da “tre saggi” (i professori Fosco Maraini, Alberto Monticone e Luigi Zanzi) di analizzare in chiave storico-critica la relazione di Ardito Desio. Dalla relazione dei tre saggi è emerso che “le bombole furono trasportate da Bonatti scendendo dal campo VIII al campo VII e risalendo poi al campo IX, che tuttavia era stato posto da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli in luogo diverso da quello convenuto, costringendo Bonatti e l’hunza Mahdi a un bivacco all’aperto nella tormenta a circa 8.100 metri di quota”.
La relazione dei Tre Saggi è stata ratificata solo nel 2008, dando pienamente ragione a Walter Bonatti e alla sua versione dei fatti. Nel corso degli anni anche Reinhold Messner ha difeso pubblicamente Bonatti: “Ha dato tutto, ha rischiato la vita per consentire la vittoria della spedizione italiana. Per questo se la conquista del K2 ha il proprio padre in Ardito Desio, ha certamente il secondo padre in Walter Bonattì”.