Doline, inghiottitoi, forre: ci vuole fegato ad abbandonare la rassicurante luce del sole per scendere nel cuore nero della terra. E anche una motivazione particolare, una necessità forse prossima all’urgenza. Ce lo insegna padre Dante, che prima di salire all’Empireo ha dovuto scendere all’Inferno. Certo Ottavia Piana non ha deciso di esplorare la grotta Bueno Fonteno, a circa 500 metri di profondità tra i laghi d’Iseo e d’Endine, per ritrovar “la diritta via” smarrita, ma per contribuire al Progetto Sebino con cui dal 2009 la sezione di Speleologia del Gruppo Cai di Lovere, provincia di Bergamo, prevede di mappare un territorio pressoché inviolato promettendo di regalare la bellezza ancestrale di cavità estese decine di chilometri.
Mentre scriviamo si trova là sotto da sabato scorso e squadre di soccorso provenienti da mezza Italia la stanno facendo risalire, un passo alla volta (lei sdraiata su una barella con fratture multiple che le impediscono di camminare) e tra le difficoltà rappresentate da pertugi in cui già si passa a fatica “da sani”. Il solo pensiero ci riempie il cuore di angoscia, ma se tutto va bene dovrebbe tornare in superficie nella giornata di domani. “Il Progetto Sebino – si legge sul sito del Cai – è molto più di un raggruppamento di associazioni speleologiche che hanno deciso di collaborare intorno ad un’area carsica, è un vero e proprio progetto di ricerca molto ambizioso che si prefigge, nel corso di un tempo sufficientemente esteso, di impostare e attivare uno studio il più possibile completo cercando di indagare tutti i più rilevanti aspetti scientifici che la disciplina speleologica contempla”.
C’è la scienza, dunque, all’origine di un’attività preclusa ai più (l’essere umano non è fatto per vivere nelle tenebre), che richiede perizia, coraggio, capacità non comuni. Ma anche per calarsi nel cuore della Terra, così come per ascendere alle sue sommità, la scienza non basta. Occorre il cuore e la trentaduenne speleologa bresciana ne ha da vendere, se meno di un anno fa rimase intrappolata in quella stessa grotta più o meno due giorni, vittima anche allora di un infortunio. Nonostante la paura provata nel luglio 2023, ha voluto tornarci (per una sfida con se stessi, per superare proprio la paura? Chissà) e questa decisione controcorrente non può che provocare una domanda: quale urgenza spinge l’essere umano a scalare le rocce dei monti, attraversare ghiacciai e deserti, solcare in solitaria gli oceani, inoltrarsi negli abissi?
Le parole di Walter Bonatti, tra i più grandi alpinisti di tutti i tempi (“Le grandi montagne hanno il valore degli uomini che le salgono, altrimenti non sarebbero altro che un cumulo di sassi”) possono ben valere anche per chi, anziché decidere di salire, preferisce scendere. Ottavia Piana non è forse un’eroina tale da passare alla storia, forse poteva evitare di sfidare un’altra volta la sorte, forse ancora ha voluto “scendere per trovarsi” e il suo coraggio si sarà ora infranto contro un limite (a chi la sta aiutando avrebbe dichiarato di non voler più tornare in grotta, però non s’è capito se si riferisse a quella dove ora si trova o in generale), ma la sua sete di bellezza merita il premio più ambito: riuscire presto a “riveder le stelle” che, quanto a bellezza del Creato, non valgono certo meno di stalattiti e stalagmiti e laghi di acqua cristallina custoditi da millenni nel cuore puro della Terra.
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