Peter Berg è un regista che lavora sotto-traccia, professionista esperto nel campo del cinema d’azione di vario tipo, che ha mescolato la scuola di Michael Mann – che gli ha fatto da mentore per i primi film – soprattutto nell’uso del ritmo e dell’umanesimo, con l’influenza tecnica di Michael Bay. Ecco, potremmo definirlo in un certo senso l’anti-Bay: dove questi arriva per accumulo, Berg cerca la distensione, la suspense e la tensione prima dell’esplosione, sia nei film d’intrattenimento come Red Zone sia in opere più seriose come Boston: caccia all’uomo o Deepwater.
È interessante quindi riflettere sul suo nuovo film a partire dalla produzione Netflix: a 6 Underground, Berg risponde con Spenser Confidential, poliziesco scritto da Brian Helgeland e Sean O’Keefe e tratto da un romanzo di Ace Atkins che a sua volta proseguiva la serie creata da Robert Parker negli anni ’70. Protagonista è lo Spenser del titolo, ex poliziotto appena uscito di galera che viene coinvolto suo malgrado nell’omicidio di due poliziotti, uno dei quali è stato il motivo per cui era finito dentro. La necessità di scagionarsi e il fiuto dell’investigatore lo porteranno nei guai.
Se i romanzi sono una rilettura dei classici dell’hard boiled – il poliziesco con protagonisti duri, impegnati nella giungla urbana -, il film invece opta per la riproposizione del Buddy cop movie, ovvero il genere in cui all’opera c’è una coppia di poliziotti sui generi (Una strana coppia di sbirri, Starsky & Hutch, 48 ore e Arma letale, per intenderci), mescolando azione e risate. A questo Berg aggiunge le proprie marche “d’autore”, per esempio l’ambientazione bostoniana, il gusto per ambientazioni da classe media e personaggi del popolo come il pub, la descrizione di valori e spirito di comunione che condivide con la sua musa, Mark Wahlberg, qui come sempre protagonista e produttore.
Pur partendo dallo stesso campo d’azione – per esempio, i due Bad Boys -, le differenze di stile e approccio di Berg sono evidenti (e per chi scrive generalmente preferibili), a partire dalla musica classic rock che conferisce a Spenser Confidential un ritmo più posato, un andamento più classico in cui poter far crescere i personaggi e dare agli scoppi action un risalto migliore, un cinema che potremmo definire umanista contro un cinema “futurista”. Peccato che a sorreggere il film di Berg manchi proprio ciò che rendeva validi i suoi precedenti film: ovvero la costruzione ritmica della tensione, il tambureggiare sotterraneo del racconto che rendeva credibili e appassionanti gli exploit dello spettacolo.
Qui Berg sembra adagiarsi a una quieta visione casalinga, dà ai suoi personaggi e al suo racconto l’andatura e lo spessore di un convenzionale pilota televisivo (cosa che il sotto-finale fa presagire possa davvero essere), limita il suo repertorio visivo a un combattimento nel ristorante e a un mezzo inseguimento nel gran finale. E anche in generale, regia e messinscena sembrano pensati per la fruizione sul piccolo schermo, tra una pizza e una lavastoviglie, laddove 6 Underground invece sembrava fregarsene e pensare il suo show sempre in grande, a prescindere dalla qualità complessiva.
Resta in ogni caso la sensazione di aver visto un film con amici, una sorta di buon umore “della brava gente”, di valori antichi e condivisi, come il buon senso e il dovere. Fare la cosa giusta prima di tutto: da sempre, Berg e Wahlberg hanno anche fatto un ritratto umano del proprio Paese come fosse la versione ottimista del cinema di Eastwood. Un altro motivo per cui si può non apprezzarli, ma che spinge a seguire il loro cinema con un certo interesse e simpatia.