E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali della vita politica. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo, è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà!”. Si concludeva così, il 7 giugno del 1984, l’ultimo comizio, in quel di Padova, di Enrico Berlinguer allora segretario e leader massimo del Partito comunista italiano. Colpito da un ictus morirà, nella città veneta, quattro giorni dopo.



Il presidente della Repubblica Sandro Pertini, a Padova per impegni già previsti, si recò in ospedale per visitare il leader politico e si impose, poche ore dopo il decesso, per trasportare la salma, di un amico e compagno di lotta come fu detto allora, sull’aereo presidenziale. Commosso fu anche il saluto del Presidente “partigiano” durante il funerale del politico sardo che vide giungere a Roma oltre un milione di persone, tra militanti ed elettori del Pci, che riempirono la nostra capitale, in particolare piazza San Giovanni, di bandiere rosse.



Fu, insomma, una grande celebrazione laica di un uomo che rappresentava, in quel momento, il partito dei lavoratori italiani e della classe operaia. Un partito, bisogna sottolineare, che risultò, alle elezioni europee tenutesi poco dopo la sua morte, per la prima e unica volta, il primo per voti nel nostro Paese con ben il 33,3%.

Una forza politica che si proponeva, riprendendo ancora l’ultimo discorso di Padova, di portare in Europa “l’Italia pulita, democratica, l’Italia dei lavoratori che hanno detto e dicono no al ‘Decreto sulla Scala Mobile’, l’Italia delle forze sane della produzione, della tecnica, della cultura, l’Italia delle donne che vogliono cambiare la società non solo per acquisire una parità di diritti effettiva dell’accesso al lavoro, alle professioni, alle carriere, ma per fare parte della società con le doti generali di cui esse sono le peculiari portatrici dopo secoli di oppressione e di emarginazione”.



Cosa rimane, oggi, 35 anni dopo, di quel mondo? Chi rappresenta, oggi, un mondo del lavoro, profondamente diverso da quello di allora, più frammentato, globalizzato e impaurito dalle grandi sfide del presente?

Il Partito democratico, erede diretto di quella storia, sembra essere diventato una forza politica “borghese” rappresentante degli interessi di chi vive, prevalentemente, nelle zone a traffico limitato delle grandi città, di chi è “vincitore” in questo, ineludibile processo di globalizzazione, ma sembra, troppo spesso, essersi dimenticato dei nuovi terzi, e quarti, stati presenti nella società attuale. Una parte significativa di questi lavoratori ha trovato, oggi, rappresentazione in un leader che da giovane si definiva comunista ma solo “padano”.

Molte città simbolo di quella storia hanno cambiato pelle. Nelle ultime amministrative, quelle della settimana scorsa, anche una delle “Stalingrado d’Italia” come Piombino è caduta conquistata da un sindaco di centro-destra proveniente, addirittura, dalle file di Fratelli d’Italia.

Sembra, insomma, che le cose, in questi 35 anni, siano decisamente cambiate e che, probabilmente, oggi neanche il sol dell’avvenire sia più rosso di colore.