Chissà se Christine Lagarde ha veramente gradito la noblesse oblige con cui Mario Draghi ha detto ieri – al passo d’addio – di non aver nessun consiglio da dare in eredità alla prima Banchiera Rosa al vertice della Bce. In realtà il quarto banchiere centrale nella storia dell’euro – per la seconda volta un francese – sale all’Eurotower accompagnato da una fiducia inferiore a quella che aveva salutato la nomina di Draghi.



Come il predecessore Jean Claude Trichet, l’economista italiano nel 2011 poteva contare su un curriculum più strutturato e professionale: aveva già frequentato Francoforte come governatore della Banca d’Italia, vantava una conoscenza di prima mano dei mercati finanziari maturata nel passaggio ai vertici della Goldman Sachs, e prima ancora si era fatto le ossa come tecnocrate, capo al Tesoro italiano durante la stagione cruciale delle privatizzazioni e dell’avvicinamento all’unione monetaria in Europa. Come nota Donato Masciandaro in un primissimo bilancio dell’era Draghi, nessuno ha mai potuto dubitare dell’indipendenza credibile del presidente italiano della Bce: risorsa preziosissima già un anno dopo il suo insediamento, all’epoca dell’ormai celebre whatever it takes salva-euro. “Ho fatto ciò che il mio mandato imponeva”: è stato il saluto asciutto di Draghi, durante la sua ultima conferenza stampa.



Anche Lagarde giunge a Francoforte attraverso un percorso lungo, ricco di esperienze: ma non ha mai lavorato come banchiere centrale e anche quando – negli ultimi anni – ha ricoperto la direzione generale del Fondo monetario internazionale il suo ruolo è stato più politico che tecnico. Mentre in precedenza madame è stata sì alla testa del dicastero francese delle Finanze, ma sulla poltrona squisitamente politica di ministro, indicata dal presidente Nicolas Sarkozy. E se Lagarde ha toccato con mano la grande finanza di mercato è stato durante la sua gavetta giovanile in un importante studio di Wall Street.



La nuova “Signora dell’euro” – che avrebbe bisogno di molti consigli – difetta anche di un cursus completamente immacolato (è stata assolta con formula dubbia per “negligenza” per un intervento del suo ministero a favore del discusso tycoon francese Bernard Tapie): e questo non la allontana del tutto da Sylvie Goulard, la commissaria francese designata da Emmanuel Macron, clamorosamente bocciata nei giorni scorsi a Strasburgo. Non da ultimo, il bingo della banchiera inventata da Macron ha lasciato di cattivo umore almeno due candidati francesi: il governatore in carica della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau e Bernard Coeuré, membro dell’esecutivo Bce con Draghi.

Dalla settimana prossima, in ogni caso, il timone dell’euro sarà nelle mani di Lagarde, ma quasi inchiodato sulla rotta dell’espansionismo monetario che Draghi ha imposto nel cruciale consiglio di settembre. Da allora non è passato giorno senza che sul banchiere uscente piovessero critiche durissime, per lo più provenienti dal Nord Europa: che hanno rivolto a Draghi la classica accusa di voler indebolire la valuta europea a vantaggio dei paesi mediterranei poco rigorosi nelle finanze pubbliche. Ma dalla Bce – ancora una volta – l’impulso “indipendente” è in realtà parso andare a fronteggiare un ritorno recessivo che sta colpendo anzitutto Francia e Germania. Per questo l’indipendenza di Lagarde – ancora tutta da testare – sarà subito alla prova. Se cederà subito alle pressioni – molto “politiche” dei compagni di stanza che l’aspettano al varco nel consiglio e nell’esecutivo Bce – mostrerà subito di essere quello di cui è già sospettata: diversa da Draghi. Cioè non un banchiere centrale degno di questo nome.