Perché? La domanda sorge spontanea leggendo l’ultimo rapporto di Greenpeace. Perché mentono sapendo di mentire. Perché sparano stupidate galattiche, spacciandole per dati scientifici. Perché senza la paura di finire alla berlina mettono nero su bianco affermazioni false come questa: “L’industria dell’auto nel 2018 è stata responsabile del 9% del totale delle emissioni di gas serra. Le dodici aziende analizzate in questo report sono responsabili di 4.3 gigatons (Gt) di CO2. Estrapolando da questo dato, l’intera industria automobilistica con 86 milioni di auto vendute nel 2018 si stima sia responsabile di 4.8 Gt CO2, uguali al 9% delle emissioni globali. Questo dato (la facciamo breve, perché dare spazio a queste fake è avvilente, ndr) supera il totale delle emissioni annuali dell’intera Unione europea (4.1 Gt CO2)”.



Mai sentito mischiare mele e banane con tanta nonchalance. Mai visto sparare numeri a vanvera in maniera così tranchant. Mai letto affermazioni così false. Non ci credete? Basta fare un semplice ragionamento e quello falso di Greenpeace cade come una pera matura: se 86 milioni di auto vendute nel mondo producono il 9% delle emissioni, gli altri 1,32 miliardi di veicoli che circolano in giro per il mondo (fonte: Wards Intelligence nel 2016) quanta ne producono? In terza elementare sanno già fare la proporzione: il risultato è che il 138% delle emissioni globali sono prodotte dalle vecchie auto in circolazione e il 9% da quelle nuove. In tutto il 147% delle emissioni di CO2, per Greenpeace, sono prodotte dalle auto in circolazione dando per scontato che veicoli di dieci o venti anni fa producano la stessa quantità di gas serra di quelli attuali e non il doppio o il triplo come in realtà accade.



Il 147%? Ma non è possibile. Le auto, brutte, sporche e cattive producono più della CO2 prodotta in totale? C’è qualcosa che non va. Gli ambientalisti in questo caso, come in molti altri, l’hanno sparata grossa, hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo. Se fossero a un esame di terza elementare verrebbero bocciati senza appello. Anche perché fanno sparire di colpo le altre cause delle emissioni di CO2 come centrali elettriche, la deforestazione, le altre industrie, gli esseri umani e gli animali. Non si sa ancora in giro, ma l’umanità non esiste più.

I valori veri sono un po’ datati perché le ricerche che portano un briciolo di verità in questo settore fanno fatica a trovare finanziamenti, quindi bisogna accontentarsi anche perché la fonte è ineccepibile: l’Ipcc, ovvero l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite che ha l’obiettivo di studiare i cambiamenti climatici e il loro impatto sul pianeta. Il settore più inquinante secondo l’Ipcc è quello dell’elettricità (alla faccia delle auto a batterie…) e del riscaldamento, che contribuisce per il 25% delle emissioni di gas serra. Agricoltura, deforestazione e utilizzo dei terreni costituiscono la seconda fonte di emissioni con il il 24%. Al terzo posto il settore dell’Industria (21%) per il consumo di energia e per i processi di trasformazione chimica, metallurgica e di minerali. Il settore di trasporti, quindi non solo auto, ma anche camion aerei, navi ecc., produce il 14% delle emissioni generate ogni anno. Il 6% delle emissioni è dovuto all’utilizzo di energia non elettrica per riscaldare e cucinare negli edifici. Infine, il 10% è da imputare sempre al settore energetico per cause che non sono alla produzione.



Per quei geni di Greenpeace, invece, solo le auto prodotte nel mondo nel 2018 sono responsabili del 9% delle emissioni globali e il parco circolante globale va oltre il 100%.

Qualcuno ce lo spiega? Non avevano sotto mano una calcolatrice? Avevano fretta o avevano preso qualcosa, magari producendo l’altra CO2? E intanto che ci sono ci spiegassero anche il perché di questa campagna a favore, in maniera sviscerata, delle auto elettriche. Sono una soluzione per le città più popolate, le cosiddette megalopoli, ma non lo sono per chi abita a Rocca Cannuccia e deve fare magari cinquanta o sessanta chilometri al giorno per andare a lavorare. A livello di efficienza energetica, poi, le auto a batteria sono un disastro: una parte dell’energia prodotta nelle centrali finisce per essere dissipata per l’effetto Joule. Per non parlare di come si produce l’elettricità: in Italia il 65% si ottiene da combustibili fossili, compreso il carbone. Che facciamo, spostiamo il problema?

E visto che se metto un carburante fossile nel serbatoio dell’auto faccio più chilometri rispetto a quando lo brucio in una centrale, lo faccio trasportare sotto forma di energia per chilometri e lo carico nella batteria della macchina, che facciamo, diamo una mano ai tanto vituperati petrolieri?

Intanto che ci siamo, vorrei anche un’altra risposta: perché Greenpeace e tutte le altre associazioni ambientaliste continuano a portare avanti, con una tigna invidiabile, una campagna diffamatoria nei confronti dei produttori di automobili? Lo “studio” che citavamo ne è una prova. Gli ecologisti si rendono conto che ci sono in ballo milioni di posti di lavoro? Solo in Europa, contando industria, indotto e servizi, sono 13,8 milioni di persone, il 6,1% della forza lavoro, una cinquantina di milioni di famiglie che vivono grazie all’automotive. Sparare a zero fake news ammantandole con i nomi di un’organizzazione conosciuta e i mantra del buonismo ecologista è solo una operazione vigliacca e sconsiderata.

 

In relazione all’articolo scritto da Franco Oppedisano, Greenpeace Italia fa notare che l’autore ha probabilmente letto con troppa rapidità il report “Scontro con il clima: come l’industria automobilistica guida la crisi climatica”, sottovalutando forse una parte fondamentale per un lavoro statistico, come quello in questione, ovvero la metodologia che ha condotto alle stime che contesta. 

Nel suo articolo, Oppedisano infatti confonde le auto prodotte in un determinato anno (il 2018), con le auto già circolanti. Greenpeace ha infatti riportato le emissioni stimate nell’anno in questione, relative ai maggiori 12 produttori di auto nei principali 5 mercati, calcolate tenendo conto del Life Cycle Assessment (LCA). Un quantitativo pari a 4,3 GT di CO2eq che, con l’aggiunta della produzione del resto del settore, arriva a quota 4,8 GT di CO2eq. Dato che – per puro confronto – corrisponde al 9 per cento delle emissioni globali annue di gas serra, pari a 53,5 GT di CO2eq, come riportano le stime dell’IPCC citate dallo stesso Oppedisano.

Dunque, ricapitolando, le emissioni delle auto vendute annualmente, considerate nel loro intero ciclo di vita, corrispondono a una quantità pari al 9 per cento delle attuali emissioni globali di gas serra espresse in CO2eq.

Passando ad altre critiche mosse da Oppedisano al nostro report, facciamo notare che nel lavoro che abbiamo diffuso pochi giorni fa è inoltre scritto chiaramente che il contributo che il settore automobilistico può dare nel contrastare la crisi climatica non può limitarsi esclusivamente al passaggio dall’auto con motore termico all’auto elettrica. Serve invece ripensare in toto il settore dei trasporti. Anche sul tema “motore elettrico alimentato con energia fossile” il report è molto chiaro, dal momento che Greenpeace lotta da anni per promuovere un mondo 100% rinnovabile. Detto questo, facciamo comunque notare che secondo un recente studio di Transport & Environment, persino in Polonia – uno dei Paesi con il mix energetico più fossile d’Europa – l’uso di auto elettriche porterebbe ad una riduzione del 25% delle emissioni di gas serra.

Per l’appunto, uno dei punti del nostro report descrive la mancanza di trasparenza del settore automobilistico, a cui si chiede – tra le altre cose – di pubblicare studi disponibili a tutti per comprendere la carbon footprint di ogni azienda. Una svolta necessaria, altrimenti il rischio è quello di continuare a creare confusione in alcuni, per la difficoltà di reperire dati del settore.

Siamo infine ovviamente consapevoli degli altri fattori che causano emissioni di gas serra. Come certamente Oppedisano saprà, Greenpeace da anni fa campagna su centrali elettriche alimentate a combustibili fossili, deforestazione, agricoltura, allevamenti. Saremmo dunque molto lieti di fornirvi ulteriori informazioni su tutte le nostre campagne qualora foste interessati.

Cordialmente

L’ufficio stampa Greenpeace Italia 

Complimenti all’autore della replica per la sua capacità di arrampicarsi sugli specchi. Abbiamo letto, e riletto ora con attenzione per soprammercato, il comunicato ufficiale di Greenpeace e le parole “ciclo di vita” non compaiono mai. I titoli e i testi di tutti gli articoli usciti nel mondo lo confermano. «Il settore automobilistico, con 86 milioni di auto vendute nel 2018» scrive Greenpeace «si stima sia responsabile di 4.8 gigatonnellate (Gt) di CO2 equivalente(CO2eq), circa il 9 per cento del totale delle emissioni globali di gas serra, più delle emissioni dell’intera Unione Europea (4.1 Gt CO2eq)». Se foste in buona fede come potreste mettere a confronto un dato che riguarda il ciclo di vita di un prodotto con quello annuale dell’Unione europea? E infatti il messaggio è assolutamente chiaro fin dal titolo del famoso report: l’industria automobilistica guida la crisi climatica.

Facciamo finta che lo siate (in buona fede) e che il solerte ufficio stampa di Greenpeace abbia scritto, solo in Italia, centinaia di repliche per sottolineare  la mancanza dei termini “ciclo di vita” in tutti gli articoli usciti, abbiamo un altro paio di domande:  qual è la vita media delle auto calcolata nel report? Facciamo finta che sia solo dieci anni anche se è molto più lunga. Allora vuol dire che le auto costruite nel 2018 dall’industria automobilistica mondiale è responsabile solo dello 0,9% della CO2 totale emessa quest’anno e, magari, nei prossimi dieci o vent’anni sarà responsabile di solo il 9% della CO2 prodotta nel mondo. Allora, ed è questa la vera domanda, perché prendersela con chi le produce dando lavoro a milioni di persone?

È facile e di moda, ma ci porterà al disastro economico, sociale e anche ambientale. Perché l’auto elettrica non risolve tutto. Ma di certo risolve i problemi di gap tecnologico dell’industria cinese sui motori termici e la pone in posizione dominante nel settore automotive grazie al controllo delle materie prime per realizzare le batterie.

Franco Oppedisano