Il Governo francese, dopo aver convinto Renault a produrre la nuova R5 elettrica a Douai, è in pressing su Stellantis perché scelga uno stabilimento francese per produrre la Peugeot 208 elettrica. Parigi intende così forzare la mano alle aziende di casa perché concentrino in patria buona parte della produzione delle utilitarie made in France. Il pressing di Macron sale di tono all’indomani dell’avvio della prima delle gigafactory di Acc, la società che riunisce Stellantis, Mercedes e TotalEnergies per la produzione di batterie.
L’impianto di Douvin, altra vecchia cattedrale dell’auto transalpina, darà lavoro a regime a 1.500 lavoratori, parte degli esuberi delle vecchie fabbriche dell’auto. Anche in questo caso l’operazione fa parte di un disegno più vasto, destinato a coinvolgere anche Renault e a trasformare la regione Haut de France, una delle più depresse, in un polo della manifattura di batterie.
La preoccupazione del Governo francese è comprensibile: al di là della convenienza finanziaria per le imprese, la preoccupazione è che i forti contributi pubblici a vantaggio dei Big dell’auto permettano la creazione di posti di lavoro in patria. Una richiesta confortata dalla presenza storica dello Stato sia nel capitale di Rénault, oggi diluita per salvare l’alleanza con la giapponese Nissan, che in quello di Stellantis, frutto di un intervento in un momento di grave crisi dell’azienda, fatto per compensare l’influenza dei cinesi di Dongfeng, oggi usciti dall’azienda. Fin qui la Francia, Paese di riferimento della multinazionale dell’auto nato dalla fusione tra Peugeot e Fiat-Chrysler.
Ma l’Italia? Certo il piano Stellantis prevede una gigafactory per le batterie anche in Italia, a Termoli, ma solo dopo la costruzione di un altro impianto in Germania. E per ora il progetto resta sulla carta. Sul fronte del lavoro, finora si parla solo di prepensionamenti, mentre il Ceo Carlos Tavares continua a battere il tasto sulla questione del taglio dei costi come tema fondamentale per gli stabilimenti e i fornitori italiani senza allargare il discorso sulle prospettive degli impianti del gruppo impegnato in una complessa organizzazione dell’intera produzione elettrica sulla base delle piattaforme STLA su cui nasceranno tutte le vetture del gruppo.
Di qui una preoccupazione generale che coinvolge una parte crescente del mondo industriale ma anche della politica. Al punto da far riemergere una richiesta che accomuna industriali e almeno una parte del Governo: perché non acquistare attraverso la Cdp una quota di Stellantis in modo da far pesare nelle scelte dei vertici le esigenze dell’industria italiana? Servono interventi strutturali, incalza il ministro Adolfo Urso, in grado di riportare la produzione italiana a un milione di vetture. Non è solo questione di numeri, ma anche di qualità degli investimenti, a partire dalla ricerca. Il problema è di portare il confronto ai livelli istituzionali più alti per aprire una fase di discussione su un asset strategico come l’auto.
Missione difficile, se non impossibile, vista la chiusura da parte di John Elkann che, nelle vesti di Presidente di Stellantis, ha già espresso le sue perplessità. “Lo Stato – ha affermato il nipote dell’Avvocato al Festival dell’Economia di Torino – entra nelle imprese quando vanno male. Stellantis va molto bene, per cui direi che non ce n’è bisogno. Nella nostra storia non abbiamo mai avuto nessun bisogno di avere lo Stato nel nostro capitale”. Ci sarebbe molto da eccepire su questa affermazione visti gli intrecci passati tra Fiat e mano pubblica per almeno un secolo, ma è più che comprensibile che Elkann si sottragga a un abbraccio dirigista e un po’ anacronistico. L’influenza di Parigi sulle scelte di Tavares non è il frutto delle richieste di un azionista importante, bensì l’effetto di una politica industriale che viene da lontano, comunque attenta alle esigenze del mercato e delle imprese, capace di imporsi per il costante appoggio, finanziario ma non solo.
Secca anche la risposta a Urso: “Penso con grande orgoglio che in questi decenni siamo riusciti a trasformare gli impianti produttivi italiani in impianti che hanno il mondo come mercato”, ha detto. “Oggi in Basilicata si fanno le Jeep, in Campania si fanno le Dodge che si vendono in America, in Piemonte la 500 elettrica che andrà in America, per non parlare del lavoro straordinario di riposizionamento di Maserati e Alfa Romeo, che hanno il mondo come mercato. L’importante è mantenere i livelli di competitività alti”. Non è una grande risposta, anche perché non offre alcuna speranza su un cambio di passo negli investimenti e nelle scelte del pianeta Stellantis.
In sostanza, il leader di Exor che ha trasferito il controllo di tutte le società (con l’eccezione di Juventus) in Olanda, non nutre una particolare attenzione alle richieste in arrivo dal Bel Paese, troppo fragile per fornire il necessario sostegno a un’impresa che, per sopravvivere, non molti anni fa ha dovuto imbarcarsi per l’America. Il risultato? Stellantis, l’ex Peugeot, resta un’impresa francese. L’ex Fiat Chrysler ormai è apolide.
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