L’industria auto sembra aver virato irreversibilmente verso il motore elettrico con i governi europei sempre più intenzionati a bandire i motori a combustione nel giro di qualche anno. La decisione ha delle conseguenze occupazionali che cominciano a uscire dalle riflessioni degli addetti ai lavori. Le società produttrici tedesche già da molti mesi hanno avvertito il proprio Governo delle conseguenze del cambiamento di paradigma industriale in termini occupazionali; a maggio l’istituto Ifo tedesco stimava che le nuove regole sui motori termici avrebbero implicato nella sola Germania la perdita di oltre 100 mila posti di lavoro. L’italiana Anfia stima che il numero di occupati collegati alla produzione di motori termici sia compreso tra le 50mila e le 60mila unità. Il Governo tedesco ha deciso di dedicare un miliardo di euro per aiutare la riconversione, ma la scommessa è molto complicata e la ragione è strutturale: il motore elettrico è infinitamente meno complicato di quello a combustione che deve produrre l’energia in loco. Il cuore di un’auto elettrica è la batteria, la sua affidabilità e la sua durata in condizioni meteo che, a differenza del motore termico, ne impattano la performance. 



La conversione da motore a combustione a motore elettrico è strutturalmente in perdita dal punto di vista occupazionale. Per recuperare bisognerebbe ipotizzare maggiore occupazione nella produzione di batterie e, eventualmente, in energie rinnovabili. La produzione di batterie elettriche richiede l’estrazione di metalli che oggi avviene in Paesi in via di sviluppo con modalità impattanti per l’ambiente e il territorio. È difficile ipotizzare che in Europa si possano estrarre questi minerali anche in zone che sembrano essere promettenti come parte degli Appennini emiliani. Non è un caso poi che la produzione di batterie si concentri in Cina dove le regole ambientali sono meno stringenti. Riportare in Europa la produzione di batterie e, eventualmente, l’estrazione di componenti oltre a essere molto costoso e molto lungo implicherebbe la disponibilità della popolazione ad accettare impatti sul territorio e produzioni che sono molto meno “pulite” di quella di un pistone. Stesso discorso si potrebbe fare, in termini di impatto sul territorio e di produzione, su campi eolici e solari e sulla produzione di pannelli. Il riciclo rimane infine un argomento su cui il settore si interroga ancora e che oggi risolve “elegantemente” seppellendo tutto in posti lontani. 



Questi però sono argomenti di medio-lungo periodo. Molto più stringenti sono le sfide che la corsa al motore elettrico e il divieto alla produzione di motori a combustione comportano in termini di occupazione e posti di lavoro in assenza di un naturale ricambio che non potrà avvenire con i motori elettrici e, tanto meno, con la produzione di batterie elettriche o di sue componenti su larga scala. La questione è vitale per i Paesi europei a vocazione manifatturiera come Germania e, immediatamente dopo, Italia. Il dibattito, per la cronaca, sul futuro occupazionale è molto in ritardo rispetto ai cambiamenti che sono stati imposti al settore e su cui non si vedono tentennamenti. 



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