A volte vale la pena ricordare: «Per costruire un’auto elettrica» scrivevamo su ilsussidiario.net nel febbraio di tre anni fa «ci vogliono meno persone perché ci sono meno componenti (pensate ai radiatori, agli iniettori, agli impianti di scarico, ecc.). Meno posti di lavoro, più disoccupazione, meno crescita, più povertà. Anche questo è il futuro».
E nello stesso mese aggiungevamo: «Uno studio del Fraunhofer Institute, spiega che se si dovessero adottare i target decisi dal Parlamento Ue (un taglio del 35% delle emissioni entro il 2030), si ridurrebbe del 18% l’occupazione nelle fabbriche tedesche di motori. Su scala europea i posti di lavoro a rischio sarebbero 108mila. I metalmeccanici dell’Ig Metall, che si sono fermati a un taglio del 30%, credono che la questione potrebbe costare all’industria dell’auto tedesca 75mila posti di lavoro. Niente in confronto ai posti di lavoro persi in caso una completa trasformazione dell’industria per produrre auto solo elettriche.
La società statunitense di consulenza FTI Consulting ha elaborato uno studio per conto di Acea, l’associazione che rappresenta le maggiori industrie automobilistiche in Europa, che parla della perdita del 60% dei tre milioni di posti di lavoro nel settore automotive. Speriamo solo di sbagliarci di grosso», scrivevamo. Purtroppo, non è stato così e le notizie degli ultimi mesi lo stanno confermando. I nomi che salgono agli onori della cronaca sono quelli dei giganti Bosch e Magneti Marelli, ma sono decine le piccole aziende subfornitrici che chiudono i cancelli e mandano a casa i lavoratori.
Adesso anche sindacati italiani si lanciano a fare i calcoli e fanno sapere che, in totale, almeno 73 mila persone rischiano la disoccupazione nel comparto dell’automotive per il passaggio all’elettrico e l’abbandono dei motori a combustione previsto nel 2035, quasi un quarto di quelli a rischio in tutta Europa, 63 mila solo tra il 2025 e il 2030. Solo negli ultimi mesi, per l’effetto annuncio sulla fine del diesel nel 2035 e del motore a combustione nel 2050, sono già spariti 3 mila posti di lavoro solo in Italia.
Viene da chiedersi dove fossero i lobbisti dei sindacati di settore mentre a Bruxelles si decideva di uccidere un settore come quello automobilistico che impiega milioni di persone in Europa. Comunque, ora siamo all’inizio di un armageddon industriale che colpirà i colossi del settore delle forniture, le piccole e medie imprese e tutti gli automobilisti. I primi, da una parte, stanno riorganizzando le strutture produttive e, dall’altra, provano a scaricare i maggiori costi sui loro clienti, ma i piccoli, soprattutto quelli iperspecializzati che sono il fiore all’occhiello della nostra industria meccanica, hanno pochissime possibilità di riconvertirsi e rischiano seriamente di chiudere, mentre i consumatori si troveranno di fronte a un aumento dei costi che non tutti potranno affrontare.
In questo scenario il crollo delle vendite di auto in quasi tutto il mondo è sotto gli occhi di tutti ed è frutto delle difficoltà della supply chain e della confusione che regna tra i clienti sul tipo di auto da acquistare: elettrica, ibrida, ibrida plug in diesel, ibrida plug in a benzina, gpl, a metano, diesel o benzina, a idrogeno. Una confusione totale che sfiora appena i grandi costruttori. Questi ultimi, infatti, non sono preoccupati della situazione perché hanno cambiato completamente la propria strategia commerciale. Finora i margini più significativi di guadagno per ogni auto venduta si facevano nel segmento premium, mentre sulle utilitarie contava il numero perché ci si ricavava poco o nulla. Ora, visto che a causa della crisi dei microchip bisogna aspettare mesi per avere un’auto nuova, gli sconti sono quasi del tutto spariti, si ritoccano all’insù i prezzi e aumentano gli utili a fine trimestre.
Certo le case automobilistiche dovranno per forza cambiare pelle e sarà una trasformazione dolorosa, ma comunque finanziata dai maggiori guadagni. A rimetterci sarà il Prodotto interno lordo europeo che rischia di perdere una fetta importante di quel 7% che valeva il settore automotive. E le persone che non lavoreranno per realizzare le nuove automobili. Ma questa è una storia che sapevano già tutti. Da anni.
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