Si avvicina la stagione delle assemblee societarie per l’approvazione dei bilanci 2022. Si parte il 31 marzo con UniCredit. Con i tassi in salita, bilanci da primato per le banche e risultati storici accompagnati da rialzi in Borsa e ricchi dividendi per gli azionisti. I cinque maggiori gruppi nazionali da UniCredit, da Mps a Bper sino a Banco Bpm hanno chiuso il 2022 con utili per 12,7 miliardi. Una cifra record con un aumento del 65% rispetto all’anno precedente. La metà di questi profitti viene da UniCredit che ha ottenuto il miglio risultato del decennio.



Il periodo buio sembra messo alle spalle, l’aumento del costo del denaro, il salto in avanti dei tassi decisi nell’ultimo anno dalla Bce – su cui peraltro Visco, il Governatore della Banca d’Italia, ha manifestato dubbi per i prolungati e reiterati rialzi ritenuti poco decisivi nel raffreddare l’inflazione uniti al timore di effetti negativi su una fragile ripresa – spiegano comunque l’anno d’oro per le banche e il boom dei loro profitti. Torna a crescere in tutte le banche il margine d’intermediazione che misura la redditività della gestione classica: il differenziale tra tassi attivi e passivi, tra quanto incassato prestando denaro e gli oneri per remunerare i depositi della clientela.



Questa forbice si è molto allargata soprattutto nell’ultimo trimestre 2022. Tutti gli istituti, con grande prontezza e sollecitudine, usando due pesi e due misure, hanno aumentato più volte il costo dei prestiti in tempo reale con le decisioni Bce, mentre gli interessi riconosciuti ai depositi della clientela sono rimasti vicino allo zero o con ritocchi di pochi decimali.

Ma se le azioni crescono di valore e le banche festeggiano, non altrettanto vale per i risparmiatori e la clientela, per le famiglie e le imprese, per l’economia. Gli effetti non sono quindi tutti proprio positivi, l’inflazione (un taglio invisibile ma reale) svaluta i tanti, troppi miliardi di liquidità lasciati a parcheggiare sui conti correnti senza fare scelte di investimento. Nuove forme di impiego dei soldi depositati da parte dei risparmiatori potrebbero invece aiutare a ridurre la forbice dei tassi e a proteggere meglio, almeno in parte, i risparmi dall’iniqua tassa inflattiva oltre che da nuovi shock finanziari potenzialmente sempre all’orizzonte.



Di un certo interesse anche l’analisi condotta dal sindacato Cisl del settore bancario sugli stessi primi cinque gruppi italiani sopra menzionati. Una lettura attenta non solo ai bilanci, ma anche al dato sociale e occupazionale come deve essere nelle corde, nella vocazione del sindacato, al maggiore valore creato dal lavoro, oltre ai dividendi e ai buyback azionari. L’analisi evidenzia tra l’altro come mentre il Governo chiede agli italiani di aumentare gli acquisti di titoli di Stato, le banche sembrano prendere un’altra strada. Diminuiscono infatti l’esposizione sui titoli di Stato e si riducono Npl e Stage 2.

Il debito sovrano italiano diminuisce di oltre 14 miliardi rispetto al 2021 e aumenta la quota dei titoli di Stato contabilizzati al costo ammortizzato (dal 57,7% al 63,8%), che le banche intendono mantenere sino alla scadenza. Ciò produce una minore esposizione rispetto all’andamento avverso dei mercati, nel caso di ulteriori rialzi dei rendimenti dei titoli di Stato a tasso fisso, i riflessi sui conti economici e sul patrimonio, dovuti alla correlata riduzione dei prezzi, si prospettano limitati.

Il 2022 si è chiuso con ricavi in crescita (+8,3%) grazie alla forte accelerazione degli interessi netti (+18,9%). Gli utili sono aumentati del 26,3%. Il margine primario per dipendente supera i 200mila euro e segna un incremento di oltre il 10%, in forte crescita in ognuno dei gruppi considerati, in un contesto in cui i mercati finanziari hanno determinato una riduzione delle commissioni nette (-2,2%). I maggiori ricavi sono stati realizzati quasi integralmente attraverso la gestione dei rapporti con la clientela.

Continua a ridursi l’incidenza dei crediti deteriorati netti. Il dato aggregato passa dal 2% all’1,5%, con un costo del rischio in decisa diminuzione (da 54 a 37 punti base), escludendo le svalutazioni sulle esposizioni verso Russia e Ucraina. Significativo anche il miglioramento degli Stage 2, i crediti in bonis per cui è stato considerato un peggioramento delle condizioni di rischio: il loro peso sul totale dei crediti alla clientela a bilancio si riduce al 13,6%, con un -3%. Si registra anche una diminuzione del tasso di deterioramento (default rate).

Costo del personale in calo, il cost/income scende dal 55,4% al 51,5%, conseguenza della discesa del rapporto tra costo del personale e proventi operativi (dal 34,5% al 31,8%). Nei primi cinque gruppi italiani il dato del cost/income si attesta ormai a un livello nettamente inferiore rispetto a quello registrato dai maggiori gruppi europei (58,3%). Nel 2022 sono proseguiti i tagli occupazionali, in buona parte ascrivibili alle uscite di Mps e agli sportelli (-4,5%).

E a proposito di sportelli, c’è in Italia un’area vasta quanto i territori di Lombardia, Veneto e Piemonte messi insieme totalmente sprovvista di sportelli bancari: si tratta di 4 milioni di italiani e 223 mila imprese. Sono i dati e le analisi su fonte Banca d’Italia, Istat ed Eurostat aggiornati al 31 dicembre 2022  dell’ Osservatorio sulla desertificazione bancaria che seguono l’evoluzione di questo fenomeno. Nel 2022 sono state chiuse altre 554 filiali, mentre i comuni privi di banche sono ormai il 40% del totale.

Un quadro preoccupante. La fuga delle banche dai territori non investe solo i centri di piccole dimensioni. Un fenomeno che cresce e non si spiega solo con il ricorso sempre più spinto al digitale. Per milioni di cittadini, si pensi agli anziani, significa dover sopportare disagi per accedere a servizi necessari alla loro vita quotidiana. L’abbandono dei territori da parte delle banche per molte piccole imprese la chiusura delle filiali rappresenta anche un problema rilevante che si traduce sovente con crescente difficoltà di ricorso al credito.

Ma c’è altro ancora, nei prossimi articoli completeremo l’analisi, i problemi e lo stato di salute delle nostre banche.

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