Praticamente è stato un plebiscito a favore della proposta che arriva dalla politica, e precisamente dall’on. Marattin, di eliminare l’anonimato online per limitare la violenza verbale sui social. L’esponente di Italia Viva su Twitter, accogliendo l’invito del registra Gabriele Muccino di introdurre l’obbligo di fornire la carta d’identità all’atto di iscriversi a un social, aveva assicurato il suo totale impegno a lavorare a una norma in tal senso, scatenando un’aspra battaglia tra i garantisti dell’anonimato in rete e suoi oppositori. Un tema tanto delicato quanto divisivo che il partito di Renzi ha cavalcato lanciando in Rete un sondaggio (in parallelo lo hanno fatto anche alcune testate) dal quale è emerso la forte prevalenza degli antianonimisti. Per inciso, va sottolineato che, paradossalmente, all’indagine hanno partecipato in tranquillo anonimato Batman e Socrate.



Ora senza sottostimare il problema degli odiatori che spargono sui social offese e provocazioni, la questione è stata affrontata d’impulso e superficialmente, con il risultato di aumentare la confusione su un tema complesso. Si è mescolato puro e semplice odio con disinformazione, propaganda e fake news, ingarbugliato il diritto alla privacy con l’illusorietà della garanzia dell’anonimato. Infatti, l’anonimato non esiste. Perché a meno di ricorrere a specifici software, in presenza di reati, la polizia postale è in grado di risalire attraverso l’indirizzo IP (immaginate il corrispettivo digitale di indirizzo sulla busta) all’origine dell’invio. Potete immaginare che l’operazione sia molto più facile rispetto alla ricerca del mittente di una lettera anonima. Già oltraggiando qualcuno dalla propria bacheca si incorre in un reato penale; inoltre, per perseguire i leoni della tastiera che usano espressioni di istigazione alla discriminazione razziale o religiosa o fanno apologia della violenza, interviene la legge Mancino in vigore da 28 anni nonostante i tentativi di abrogazione dell’ex ministro Lorenzo Fontana.



Imporre l’obbligo di fornire un documento per aprire un profilo social avrebbe l’effetto calmierante sulle intemperanze verbali dei cyber-hater? C’è da dubitarne visto che la maggior parte di loro si esprime a volto scoperto e soprattutto, come ha argutamente ricordato a Luigi Marattin in un confronto televisivo la giornalista Arianna Ciccone, il massimo esponente degli odiatori online è nientepopodimeno che il presidente degli Stati Uniti! Peccato che invece di norme restrittive per imbrigliare l’odio in rete, non si rifletta troppo sulla prevenzione della sua proliferazione incontrollata attraverso campagne di educazione e sensibilizzazione soprattutto dei giovani. Non perché più aggressivi dei loro genitori, ma perché sono le nuove generazioni che plasmeranno il futuro della Rete. L’educazione civica, inserita nel programma scolastico a partire dal 2020, potrebbe essere un ottimo canale per veicolare una cittadinanza digitale responsabile.



L’identificazione informatica secondo la proposta estemporanea dell’onorevole Marattin, oltre a essere tecnicamente macchinosa ed economicamente gravosa, è criticabile nell’ottica di garanzia dei diritti dei cittadini di una società libera e democratica. Immaginate cosa significhi registrare i documenti dei 30,7 milioni di italiani con uno o più profili social. In fondo si potrebbe obiettare che questo sia un problema di Mark Zuckerberg e Jack Dorsey. Ma voi vi fareste schedare a cuor leggero da un colosso come Facebook che ha già dimostrato con lo scandalo Cambridge Analytica, di non saper tutelare i dati dei propri utenti? Quali garanzie legali potremmo ricevere visto che il database delle carte d’identità finirebbe in mano a una società privata straniera che opera sotto diritto internazionale? Oggi è una società commerciale, ma se un domani ci fosse un’interferenza politica? Nata per contrastare l’odio verbale se finisse per essere uno strumento discrezionale per reprimere il dissenso? D’altro canto, soprattutto nei regimi illiberali, ma in generale nelle democrazie, l’anonimato online protegge da ritorsioni sul posto di lavoro, tutela l’incolumità di vittime di aggressione, garantisce la libertà di espressione di attivisti nei regimi autoritari, minoranze, giornalisti/blogger nelle loro inchieste, ecc. Siamo consapevoli che senza social molte rivendicazioni di libertà politiche e civili, da Gezi Park a Hong Kong, non ci sarebbero state?

È indubbio che l’obbligo di autentificazione avrebbe qualche vantaggio anche se non necessariamente nell’abbassare il tono delle aggressioni verbali. Sfoltirebbe, per esempio, la popolazione dei social cancellando quei profili finti usati ai fini della propaganda politica o come merce nelle offerte di pacchetti di follower a pagamento. Utenze fasulle prodotte in serie da software dedicati come le brigate di troll russi manovrati da un’unica interfaccia che hanno avuto un ruolo rilevante nell’elezione di Trump così come nella Brexit, solo per citare le più note. Oppure l’esercito di internauti cinesi (si parla di un reclutamento per interi stabili) arruolati nel 50 cent Party (il nome deriva dall’entità del compenso) per riversare a comando in Rete centinaia di milioni di commenti seriali falsi e orientare il dibattito. Introducendo l’obbligo del documento d’identità verrebbe anche applicato per davvero il divieto di frequentazione ai minori di 16 anni.

Quindi? La criminalizzazione dell’anonimato per contrastare l’odio online è un approccio liberticida e sostanzialmente infruttuoso. Tuttavia, se la politica volesse perseguire a tutti i costi l’ipotesi del documento di identità come lasciapassare sui social, si potrebbe comunicare ai gestori un PIN (è previsto nella carta d’identità elettronica) che diventerebbe il nostro identificativo digitale non in chiaro ma da quale le autorità nazionali potrebbero immediatamente risalire all’identità del profilo.