Caro direttore,
la nomina di Guido Bertolaso a super-consulente della Regione Lombardia per l’emergenza coronavirus ha una motivazione apparentemente tecnica: l’avvicinarsi dei decessi in Regione alla soglia psicologica di mille in coincidenza con l’esaurirsi dei letti di terapia intensiva impone un salto di qualità al presidente Attilio Fontana. Ma anche su questo piano la stessa conferenza stampa dell’assessore alla Sanità Giulio Gallera – che da qualche giorno rilascia un autonomo bollettino quotidiano rispetto alla Protezione civile di Palazzo Chigi – ha segnato una visibile e per certi versi clamorosa escalation polemica.
È chiaro che la mancata collaborazione della Protezione civile al progetto lombardo di trasformare una parte della Fiera di Milano in ospedale d’emergenza in stile Wuhan ha incrinato nuovamente i rapporti fra Milano e Roma. I toni con cui Gallera ha contestato ad Angelo Borrelli la penuria di mascherine di qualità sono stati molto forti: esattamente come l’annuncio che la sanità regionale sta cercando medici in Cina e a Cuba.
La chiamata di Bertolaso giunge comunque tre giorni dopo che all’ex capo della Protezione civile – caldeggiato dall’opposizione di centrodestra come commissario nazionale all’emergenza – il governo ha preferito un burocrate romano come Domenico Arcuri: privo di qualsiasi esperienza nel campo, salvo essere molto vicino al premier Giuseppe Conte.
Basterebbe già questo per assegnare all’“operazione Bertolaso” un’elevata significatività politica. Quest’ultima appare ancora maggiore allorché il leader della Lega ha lamentato che il governo sta approntando il primo decreto sull’emergenza economica tenendo lontano dal tavolo l’opposizione: nonostante da giorni il Presidente della Repubblica auspichi un reale clima di “unità nazionale” e Salvini – assieme a Giorgia Meloni – abbia visibilmente silenziato ogni polemica.
Può darsi che il caso Lagarde e più in generale gli sviluppi in sede Ue (non ultimo il possibile rinvio del Mes) abbiano convinto Conte e le forze politiche di maggioranza non solo di poter gestire in autonomia le diverse emergenze coronavirus, ma di poter addirittura trasformare il passaggio in una sorta di “scacco matto” politico interno. Perché Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dovrebbero “condividere” con l’opposizione le decisioni di spesa/investimento dell’ampia flessibilità che Bruxelles sembra disposta a concedere all’Italia? Perché una possibile replica italiana del “piano Merkel” (550 miliardi di crediti alle imprese via KfW, la Cdp tedesca) va discussa assieme alla Lega e a FdI?
Sembra profilarsi una “fase 2” delle opache manovre estive fra Roma e Bruxelles: quando il premier Conte appoggiò a sorpresa le nomine di Ursula von der Leyen alla Commissione Ue, Christine Lagarde alla Bce e David Sassoli all’europarlamento, portando in dote i decisivi voti M5s a Strasburgo. Il ribaltone italiano di agosto prese avvio in quel momento con la saldatura di importanti poteri europei ed extraeuropei con l’opposizione italiana nel tentativo di frenare la progressiva affermazione della Lega come primo partito nel Paese.
Resta il fatto che l’emergenza sanitaria ha duramente colpito il motore economico del Paese. E che la gestione della crisi è invece nella mani di un “governo del Sud” asserragliato da settimane a Roma e ora forse – paradossalmente – più preoccupato dello spostarsi del virus al Sud.
La questione – in sintesi forse brutale – sembra comunque poter essere questa: può “il governo del Sud” (M5s–Pd, con un premier non eletto) pretendere di gestire dai palazzi della Roma ministeriale una crisi senza precedenti di protezione civile e soprattutto di recessione economica in arrivo al Nord, dove i consensi alla Lega sono schiaccianti? Può il governo Conte pretendere di impostare tout court il piano Marshall post coronavirus in Italia? Possono Conte, Gualtieri e Di Maio mantenere il controllo delle relazioni con Bruxelles, facendo sponda su due classici prodotti del ceto politico romano come Sassoli e il commissario Paolo Gentiloni?
La nomina di Bertolaso sembra un’ulteriore mossa in una partita che Conte – e forse anche alcuni suoi punti di riferimento politici – sembrano giocare con parecchio irrealismo e sul filo del rasoio costituzionale. Il “caso Bertolaso” sembra così avere la funzione precisa di ricordare a Conte – e forse non solo a lui – che il “rischio catalano” può diventare un’ulteriore emergenza, di natura istituzionale. E la responsabilità non potrà essere stavolta caricata sul Nord.