I media italiani hanno prima manipolato le parole di carta di un Ambasciatore svedese e poi oscurato quelle “chiodate” degli Stati Uniti espressive del mood occidentale di inizio 2023 sull’emergenza migranti alle diverse “frontiere meridionali”.

Il giorno del funerale di papa Benedetto – disertato da Biden nonostante sia il secondo Presidente cattolico degli Stati Uniti – dalla Casa Bianca è giunto un annuncio secco. Due anni dopo la vittoria su Donald Trump, l’Amministrazione democratica ha deciso di allinearsi con la “politica del muro” contro tutti gli ingressi illegali alla frontiera con il Messico: tuttora premuta da carovane di migranti dall’America centrale e latina. Nessuno potrà più entrare negli Usa senza visto anche se in fuga dal Venezuela affamato oppure da Haiti nel caos perenne, mai ricostruito dopo il terremoto. Biden è volato appositamente in Texas per confermare che la ricreazione migratoria sul confine del Rio Grande è finita (ammesso che sia mai davvero cominciata negli ultimi due anni).



Gli stessi media “ultra-dem” – primo fra tutti il New York Times – non hanno potuto non ammettere che si tratta di un passo annunciato e inevitabile se i democratici vogliono sfruttare l’insperata occasione di rivincere alle presidenziali 2024, dopo la semi-sconfitta dei repubblicani al midterm e l’avvitamento “trumpiano” del GOP sull’elezione dello Speaker alla Camera. I migranti dal sud dell’America sono tutti “economici”: e sono per questo detestati principalmente da larghe fasce di elettorato “dem” (i lavoratori a basso reddito, in parte ispanici o “afro”, spesso ex migranti). I loro salari sempre più “diseguali”:  non sono aumentati nonostante le promesse elettorali di Biden e anzi stanno ora diminuendo per effetto dell’inflazione provocata principalmente dalla “guerra di Biden” in Ucraina. Di cui ora fanno le spese – otto fusi orari a ovest di Kiev – i poveri del Centro America: respinti dagli Usa al contrario degli otto milioni di ucraini rifugiati principalmente in Europa (100mila anche negli Stati Uniti).



Di flussi migratori “classici” verso l’Ue aveva invece parlato con il Financial Times Lars Danielsson, rappresentante della Stoccolma presso l’Ue, in occasione dell”inizio del semestre di presidenza svedese dell’Unione. Un passaggio molto atteso: dopo le elezioni di ottobre, che hanno segnato la sconfitta dei socialdemocratici, a Stoccolma governano in minoranza i Moderati di Ulf Kristersson, ma con il decisivo appoggio esterno del “Democratici Svedesi” (SD). E questi ultimi – veri vincitori nelle urne sotto la guida eccentrica di Jimmie Akesson – sono una forza di estrema destra, ispirata da un populismo xenofobo non priva di venature neonaziste. Ovvio che Bruxelles stia guardando a Stoccolma con più inquietudine di quanta ne stia riservando alla Roma di Giorgia Meloni. E non ha sorpreso nessuno che l’Ambasciatore a Bruxelles sia uscito allo scoperto anzitutto nel tentativo affannoso di rassicurare che lui “prende indicazioni dal Governo”, non da SD. Che, cioè, il Governo Kristersson non sarebbe omologabile a SD nell’estremismo anti-migratorio.



Nel merito il diplomatico (un funzionario pubblico, non un membro dell’esecutivo) è parso affermare quello che evidentemente il Premier moderato ha preferito per ora non affermare politicamente in prima persona: la presidenza svedese non prevederebbe (non avrebbe intenzione) di promuovere da oggi a giugno un nuovo compact di regole per la gestione delle ondate di migranti. Un’affermazione molto ambigua. Da un lato, Danielsson è sembrato appoggiare l’eurocrazia di Bruxelles e il pur pericolante establishment franco-tedesco nel rintuzzare le spinte provenienti da Italia, Grecia e Paesi dell’Europa centro-orientale a ricostruire per intero un meccanismo di formale “accoglienza” dei migranti. Ma nella sostanza l’Ambasciatore svedese è parso trasmettere un messaggio di segno molto diverso: la Svezia non vuole cambiare lo status quo delle politiche migratorie Ue, perché queste tengono la Scandinavia ben al riparo dalle ondate provenienti dal Mediterraneo. Una linea quindi di fatto allineata con SD, per quanto ovviamente scomoda per un Premier “liberaldemocratico” ed “europeista”.

L’equivoco – almeno in parte voluto – ha fatto strumentalmente breccia sui media italiani. Per alcuni di essi le parole di Danielsson sono suonate come come “schiaffo alla Meloni”. Dopo un pomeriggio fuochi d’artificio mediatici, è dovuto intervenire il ministro per i Rapporti con la Ue, Raffaele Fitto: anzitutto infastidito (giustamente) per essere stato costretto a rispondere a un burocrate, non a un esponente Governo svedese. Il commento è stato comunque laconico e per certi versi provocatorio:  “La Svezia non ha una posizione diversa dall’Italia”, ha detto Fitto, restituendo “schiaffi”. Ma tant’è: il Governo Meloni, certamente, preme sull’Ue per rivedere a fondo l’applicazione dei “preistorici”  Accordi di Dublino (firmati per l’Italia da Enrico Letta ed Emma Bonino), ma, senza ombra di dubbio, condivide in pieno con la maggioranza di centrodestra a Stoccolma la contrarietà verso ingressi non regolati di migranti nei Paesi Ue.

Una linea che nel giro di poche ore si è appreso essere quella del Presidente degli Stati Uniti: fra l’altro patron di quella Nato in cui la Svezia è appena precipitosamente entrata.

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