Le immagini che giungono dal fronte di guerra in Ucraina sono raccapriccianti: non solo giovani soldati mandati a combattere un’ennesima inutile guerra, ma un bersagliamento massiccio e sistematico di città ed in esse di civili inermi, addirittura di ospedali con pazienti allettati per un’infermità o per un parto.



Proprio il raccapriccio che tali immagini suscita documenta il permanere di un fondamento della consistenza umana che tanta civiltà e tanto progresso ha generato: ciò che provoca la morte e il dolore è contro natura. Il raccapriccio, e ancor più la giustificazione di tali fatti, segna la differenza tra due concezioni opposte del potere, dello stato e dell’agire di ogni persona: il potere al servizio dell’umano o l’umano al servizio del potere.



Tale differenza è opportuno tenerla presente anche in circostanze non belliche, perché l’una o l’altra delle concezioni genera ultimamente del male o del bene. Viceversa, quanto corrispondono alla natura umana le esperienze e le immagini di accoglienza, di condivisione e di cura di persone ferite, ammalate e prive di tutto anche al limite delle risorse disponibili.

Il primo luogo di cura da preservare e da sostenere è proprio l’esperienza elementare umana, con le sue evidenze, affinché prevalga su ogni altra logica in ogni campo; tanto più nel preservare e sostenere luoghi destinati a curare malati: la famiglia, gli ospedali, le opere di accoglienza e cura specie per malati cronici o gravi.



Bombardare fisicamente e giuridicamente questi luoghi è disumano: in guerra, in Parlamento, da una cattedra.

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