Chissà che cosa passava per la mente (Dio la riposi!) di Maurizio Landini quando, all’uscita dal Palazzaccio – dove aveva depositato i testi dei quesiti referendari – posava per la foto di gruppo? L’evento è stato immortalato su “Collettiva”, il giornale on line della Cgil, in un video in cui compare il Segretario che esce dalla sede di corso d’Italia, saluta le compagne e i compagni venuti a felicitarsi con lui e sale in auto, caricandosi sulle spalle il destino del lavoro. Da questo momento solenne si avvia una procedura nota. Se la Suprema Corte dà il via libera ai quesiti, si avvia la raccolta delle 500mila firme entro un tempo prestabilito che dovrebbe concludersi, secondo Landini – che non rinuncia a fare sfoggio di potenza organizzativa -, entro l’estate. Dopo gli ulteriori adempimenti presso la Consulta, l’ora X dell’appello al voto scatterà nella primavera del 2025.
Non è facile dare un giudizio dal punto di vista tecnico/giuridico all’operazione perché i testi non sono noti. Poi – lo sappiamo per esperienza – un conto è abrogare una norma o una legge; è più complicato stravolgerne il dispositivo per ottenerne uno diverso e di significato opposto; ovvero manipolare le parole di una norma per farle dire il contrario del suo originario contenuto.
Per chiarire il ragionamento si possono fare degli esempi. Se si vuole abolire il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è sufficiente indicare nel quesito abrogativo il dlgs n.23 del 2015. Se invece si vuole manipolare la responsabilità in caso di infortunio in un’azienda appaltatrice è necessario compiere un’operazione chirurgica sulla sequenza delle parole (che possono solo essere abrogate non aggiunte) in modo di alterane il significato.
Pubblichiamo in appendice i testi dei quesiti; tuttavia, vista la complessità degli intrecci legislativi che richiederebbe una ricostruzione tecnica non idonea per le caratteristiche di questo commento, è consigliabile limitarsi a richiamare – dal comunicato della Cgil – gli obiettivi della battaglia referendaria.
I referendum depositati sono quattro rivolti a proporre – ha premesso Landini – una legislazione del lavoro che contrasti la precarietà e intervenga sulle forme di lavoro assurde messe in campo in questi anni. Poi il Segretario è entrato – si fa per dire – nello specifico. Dei quattro referendum, “uno riguarda la sicurezza negli appalti che chiede in modo esplicito che ci sia la responsabilità del committente di tutto quello che avviene sul versante della salute e della sicurezza dei lavoratori. Un secondo quesito contro la liberalizzazione dei contratti a termine, per noi devono tornare ad essere legati alle causali. Poi altri due quesiti riguardano il contrasto ai licenziamenti illegittimi e quindi vuol dire cancellare il Jobs Act e fare in modo che tutte le persone abbiano la tutela contro i licenziamenti illegittimi con il reintegro nel posto di lavoro”.
Che dire? Partendo da un giudizio di carattere generale si tratta di quesiti antistorici, come se si volessero fissare retroattivamente condizioni di lavoro che la realtà si è incaricata di modificare nei fatti, nei comportamenti e nelle regole.
Partiamo dal Jobs Act (il nemico pubblico numero 1 che poi riguarda solo il dlgs n.23). La sua abolizione ha il sapore di una vendetta contro una sinistra riformista impersonata dal Governo Renzi. Il contratto a tutele crescenti è soltanto una possibile opzione che amplia la possibilità, nel caso di licenziamento economico illegittimo, di risarcimento del danno al posto della reintegra, limitatamente a coloro che sono stati assunti dopo il 7 marzo 2015. La disciplina generale della risoluzione illegittima del rapporto di lavoro resta l’articolo 18 come novellato dalla legge n. 92 del 2012. Inoltre, il contratto a tutele crescenti ha visto ridimensionare a opera della Consulta alcuni dei suoi contenuti più innovativi e in particolare la certezza, in giudizio, del costo di un licenziamento per il datore di lavoro, ragguagliato al criterio automatico dell’anzianità di servizio.
Per quanto riguarda la responsabilità del committente per tutto quello che avviene nella filiera degli appalti e subappalti in materia di sicurezza del lavoro, si tratta di un progetto assurdo. Il committente si lega all’appaltatore con un contratto in cui sono indicate regole di correttezza, la cui violazione può comportare la risoluzione del contratto stesso, ma il committente non può diventare il responsabile delle azioni di un’altra impresa, anche sul piano penale.
Vi è poi la questione dei contratti a termine che devono essere riportati in un contesto di causalità. Questo accanimento contro i contratti a termine è l’azione più antistorica della manovra referendaria. Anche perché si inserisce in una dinamica del mercato del lavoro in cui i più recenti trend mettono in evidenza un incremento del lavoro a tempo indeterminato e una diminuzione di quello a termine. Peraltro pare che gli estensori dei quesiti non si siano accorti che nelle modifiche apportate al Decreto dignità (la cui applicazione a suo tempo fu sospesa a furor di popolo per i danni che stava provocando all’occupazione), il Governo ha reintrodotto il c.d. causalone (le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva), la norma trappola che consentiva la sindacabilità in giudizio delle motivazioni per il ricorso al lavoro a termine e che era stata superata dal decreto Poletti.
Per farla breve, Landini e la Cgil vivono ancora in un mondo tutto loro, abitato da fantasmi di una realtà sorpassata, ma per loro tuttora presente. Così con i referendum vogliono abolire i fantasmi e abrogare i loro incubi.
Appendice – I testi dei quesiti
Licenziamenti
Jobs act
«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».
Misura della indennità
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”?».
Appalti
Volete voi l’abrogazione dell’art. 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori”?».
Contratti a termine
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?».
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