“Ma perché ce l’ha tanto con me?”, chiedeva Mario Draghi – da Premier – ai suoi, commentando i toni sferzanti di Maurizio Landini, Segretario generale della Cgil, contro di lui e il suo Governo “di unità nazionale”. “Ma io non lo capisco quando parla!”, si sfogava Sergio Marchionne, nei mesi caldi della trattativa sul futuro della Fiat in Italia, parlando di Landini con i sindacalisti di Cisl e Uil. Perché Landini è così: sempre ad alzo zero, sempre polemico, sempre movimentista.
La vera sorpresa di questa balorda stagione politica del nostro Paese – politica per modo di dire – sta invece nella Uil, sindacato negoziatore e riformista per definizione, il sindacato di Giorgio Benvenuto, dialogante, che con la guida dell’attuale segretario Pierpaolo Bombardieri si schiera lancia in resta a fianco della Cgil lasciando isolata la Cisl sulla sua linea del negoziato.
Questo, a livello nazionale: dove non a caso ieri la manifestazione di Cgil e Uil ha toccato forse i minimi storici di adesione, con circa 5.000 persone a piazza Ostiense, sotto la Piramide di Roma, per l’eterea inconsistenza dell’intestazione della mobilitazione stessa: il diritto alla cura e alla sanità pubblica, una “giusta” riforma fiscale e la tutela dei salari. Di tutto un po’.
Ma attenzione: c’è poca politica, in quest’atteggiamento. Non c’è subalternità al Pd, vecchio punto di riferimento ideologico della Cgil. Non c’è fiancheggiamento. C’è davvero più che altro movimentismo, quell’idea di fondo in base alla quale nella nostra società mediatica ed effimera, dove i messaggi sfrecciano fulminei e si dissolvono come stelle cadenti, l’importante è dire, l’importante è fare, senza curarsi di far sedimentare i concetti e di sostanziare le battaglia politiche, perché tanto niente resta.
E il movimentismo aborra l’accordo: un negoziato che si concluda con un accordo, imbavaglia almeno per un po’ entrambe le parti. Nossignore: il movimentismo non dorme mai. Mentre il sindacalismo sì: negozia, si accorda, si placa, e poi torna a chiedere, ma dopo un bel po’. E di fatti la Meloni e il suo Governo – bersaglio fisiologico per i sindacati – dormono su quattro guanciali fin quando le richieste restano così: da un lato ovvie (“meno morti sul lavoro”, e chi direbbe di no?) e dall’altro così etereamente vaghe (“una giusta riforma fiscale”). E poi c’è il “benaltrismo”, nemico acerrimo del riformismo: qualsiasi traguardo intermedio si consegua, ci vuole sempre “ben altro”. Difficile trattare, così.
Poi ci sono dei fuoricampo da baseball, come il sit-in contro gli eventuali interventi sulla legge 194 che regola il diritto all’aborto, preannunciato a Roma per dopodomani, davanti Montecitorio: tema sacrosanto, per carità, ma cosa c’entra il sindacato, ovvero: c’entra, come c’entriamo tutti, ma perché un sit-in? Un impegno frontale di questo peso?
La Cisl su questa linea movimentista non si schiera. E si prende le sue rivincite nelle categorie. Perché lì Cgil e Uil rientrano nei ranghi e negoziano unitariamente e firmano accordi e rinnovano contratti, quasi sempre al riparo dai riflettori, ma col pieno consenso della base.
La Cisl ha preso una strada diversa, sta portando avanti la sua proposta di riforma del patto sociale basata sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, dove la Cgil converge a metà perché dice di sì all’azionariato dei lavoratori ma poi inspiegabilmente dice no alla partecipazione dei lavoratori stessi ai consigli d’amministrazione.
E quindi… Quindi le tre centrali sindacali si ricompatteranno il 1° maggio, manifestando unitariamente a Monfalcone, città della Fincantieri, grande industria di Stato che funziona bene e rende. Il tema della manifestazione sarà l’Europa, che è come gli spaghetti: siamo tutti amici.
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