Caro direttore,
“il capo dello Stato è la voce della Costituzione, non del popolo”. Un’importante costituzionalista, ieri su un importante quotidiano, ha sintetizzato come più non si poteva la sua visione del passaggio politico-istituzionale che si annuncia dopo il voto locale di domenica, a pochi giorni da una dibattuta sentenza della Consulta sul sistema elettorale.
Lo scenario delineato dal commentatore non ha bisogno di molti dettagli. Richiama l’eventualità che l’esito delle elezioni amministrative di Emilia-Romagna e Calabria – in particolare se positivo per i partiti di centrodestra – prema sul quadro politico, indebolisca il governo Conte 2, riporti d’attualità la prospettiva di una chiusura anticipata delle legislatura. Ed è sulla base di questa preoccupazione – legittimamente politica, non però legittimamente “costituzionale” come si sforza di sembrare – che il giurista si premura già di appellarsi al Quirinale perché prepari un’azione di “contrasto costituzionale” al voto anticipato: pochi mesi dopo che la questione si è già posta in occasione della crisi di governo sfociata poi nel “ribaltone” di maggioranza e nel Conte 2.
La sintesi dell’appello appare significativa del livello delle tensioni accumulate e delle pressioni crescenti all’interno della vita democratica del Paese. Un’Italia che resta una democrazia costituzionale anzitutto nei termini individuati dall’articolo 1 della Carta. “L’Italia è una Repubblica democratica” eccetera. Punto. “La sovranità appartiene al popolo” (virgola) “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La “sovranità” democratica appartiene al “popolo” e a nessun altro. E la Costituzione è uno strumento per l’esercizio corretto della democrazia “del popolo”: certamente non uno strumento a disposizione di soggetti distinti e autonomi, per essere utilizzato magari “contro il popolo”.
Un esercito di costituzionalisti repubblicani si misura ogni giorno, da più di settant’anni, sul primo articolo della Carta come su tutti gli altri. In un momento di riscoperta dell’educazione civica nella scuola dell’obbligo, sembra davvero difficile “narrare” che nella Costituzione in vigore il Presidente della Repubblica è titolare di una prerogativa esclusiva di interpretare e applicare la Costituzione “a prescindere dal popolo”.
Nel pane dell’educazione civica spezzato a scuola, è sempre chiaro il significato di “democrazia parlamentare” rispetto alle democrazie “presidenziali”. E se qualche insegnante propone l’approfondimento puntuale della Carta, i suoi allievi trovano conferma puntuale che il Presidente della Repubblica italiana ha certamente molti poteri – fra cui quello di “sciogliere le Camere, sentiti i loro presidenti” – ma con altrettanta evidenza non detiene porzioni sostanziali neppure minime di alcuno dei tre poteri classicamente distinti da Montesquieu: il legislativo, l’esecutivo il giudiziario. Ha sempre prima voce in capitolo – il Capo dello Stato – nel garantire che la vita democratica si svolga nel quadro tracciato dalla Costituzione (ad esempio nel vigilare che uno dei tre poteri costituzionali non esorbiti, creando squilibri nella vita democratica). Almeno per come è stato disegnato dalla Carta che ha archiviato l’Italia dei re e dei duci – il Quirinale non è invece un’istituzione chiamata a intervenire nel merito politico del confronto democratico.
A rischio di “incostituzionalità” resta sempre assai più un capo dello Stato che voglia decidere a modo suo “come si usa la Costituzione” che un partito che, a valle di una pluralità di consultazioni elettorali, ponga il possibile ricorso al voto anticipato. Un fatto del tutto fisiologico in democrazia: la Gran Bretagna è uscita da una difficile impasse interna e internazionale grazie a una risolutiva snap election. In Israele in marzo si voterà per la terza volta in dieci mesi. In Spagna si è votato 4 volte in 4 anni. Si potrebbe continuare a lungo: anche elencando passaggi della storia italiana repubblicana in cui il Capo dello Stato – qualche volta di sua iniziativa, qualche altra perché pressato da una crisi portata per lo più dall’esterno del Paese – ha assunto ruoli più o meno discosti dal “canone costituzionale”.
Può essere una curiosità: ma il fondatore del quotidiano che ieri ha riportato il parere dell’autorevole costituzionalista, più di mezzo secolo fa ha rischiato l’arresto per un’inchiesta giornalistica (fondata) che rivelava al Paese una seria minaccia di forzatura dell’ancor giovane democrazia italiana. Una strettoia cui – a pochi anni di distanza – non risultava estraneo chi sedeva al Quirinale. Quel giornalista è stato salvato dalla Costituzione – dall’immunità parlamentare – ma solo dopo essere stato eletto dal “popolo”. Perché la democrazia rappresentativa italiana resta incardinata sul rapporto (elettorale) fra “popolo” e Parlamento. E rimane governata da un esecutivo che deve godere della fiducia del Parlamento. Il resto sono chiacchiere. Interessate. E di dubbia costituzionalità.