Caro direttore,

all’architetto Vittorio Gregotti – come ai 1218 deceduti di coronavirus in Lombardia fino a ieri sera – non è servito a nulla il simil-Papeete in scena da giorni, pur con le migliori intenzioni, fra i balconi italiani. Non c’è nessun Mundial da festeggiare in questa tragico fallimento di un governo che nulla ha fatto per evitare l’arrivo del contagio e poi per affrontarlo. Quando il virus è silenziosamente arrivato, nelle piazze del Nord Italia si aggiravano ancora le “sardine” attardate a celebrare la fondamentale affermazione del centrosinistra in Emilia Romagna (oggi la seconda “regione rossa” dopo la Lombardia, nonostante “l’ottima gestione della sanità eccetera” da parte del governatore Stefano Bonaccini).  



Non è affatto un’attenuante  – e tanto meno una medaglia di consolazione, per Giuseppe Conte e i suoi ministri  – che altri Paesi europei si trovino ora nella medesima situazione. Questo semmai pone interrogativi atroci e forse definitivi sulla leadership europea che da dieci anni impone anche all’Italia la legge del più forte spacciandola per “ammaestramento e correzione a ciò che è buono e giusto”.



Ed è quanto è avvenuto un’ultima volta proprio con la nascita del Conte-2. Che da quando è entrato in carica non ha fatto altro che prova della sua impotente unfitness: probabilmente non sgradita ai Paesi dominanti nell’Ue. Per la cronaca: mentre ieri sera il cancelliere Angela Merkel chiudeva unilateralmente la Fortezza-Germania entro i suoi confini, sospendendo Schengen, Ursula von der Leyen, ex ministro a Berlino e “patrona” del Conte-2, auspicava ancora “la condivisione del materiale protettivo fra Paesi Ue”. Intanto l’Ecofin previsto per oggi per una prima discussione sulle misure d’emergenza contro le ripercussioni recessive del virus non si terrà.



Su questo sfondo il Premier italiano che oggi si atteggia a Winston Churchill si candida invece senza remore apparenti a gestire la ricostruzione di un Paese che la sua presenza a palazzo Chigi ha contribuito in modo finale – se non decisivo – a mettere in ginocchio. Fino a che rimarrà in quella posizione, non sarà mai possibile non ricordare che si tratta un premier non eletto, trasformista e privo di identità politica, imposto nel suo secondo mandato ai limiti dell’interferenza da alcuni capi di Stato non europei.

È giunto al vertice dell’esecutivo senza alcuna esperienza di governo e lo ha dimostrato: perfino nel gestire la comunicazione, unica leva a sua diretta disposizione. Da settembre ha passivamente assecondato la confusa agenda politica della maggioranza M5S-Pd-Iv-Leu, per la quale le emergenze dell’Italia a fine 2019 erano nell’ordine: a) tenere all’opposizione la maggioranza effettiva e tenerla sotto scacco giudiziario; b) lottare contro il cosiddetto “linguaggio d’odio”; b)  cancellare i decreti sicurezza e riaprire totalmente le frontiere italiane/europee ai migranti; c) punire con un aumento della pressione fiscale le imprese e i lavoratori autonomi del Nord per finanziare l’assistenzialismo statalista al Sud; d) varare in fretta una cosiddetta “riforma della giustizia” sostanzialmente sollecitata da una magistratura in profonda crisi di credibilità a puntello di un potere già abnorme nella democrazia nazionale.

Lo ha fatto, questo Governo, senza essere realmente maggioritario nel Paese: né sulla base dei risultati delle elezioni europee su scala nazionale, né di quelle locali in Umbria, Emilia Romagna e Calabria. Lo ha fatto nonostante i due partiti di governo, M5S e Pd, siano stati preda di continue e paralizzanti lacerazioni interne: e lo siano tuttora. Continua a farlo in modo divisivo e opportunista, forzando la Costituzione, utilizzando come scudo gli appelli istituzionali all’unità nazionale del Presidente della Repubblica.  

A questo Paese in questa situazione, servirebbe l’esatto contrario di Conte-2. Il Piano Marshall – quello vero – fu interamente gestito da un premier come Alcide De Gasperi, mentre al Quirinale c’era Luigi Einaudi, che era stato protagonista della prima emergenza post-bellica al ministero del Bilancio. Nei ministeri-chiave per l’economia si alternarono uomini politici del calibro di Amintore Fanfani ed Ezio Vanoni. All’opposizione c’erano Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, il leader della Cgil Luigi di Vittorio. Fra pubblico e privato, fra Roma e Milano, a cavallo del 1950 si muovevano figure come Guido Carli, Enrico Cuccia, Enrico Mattei. Vittorio Valletta.

L’odierno ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ieri sera non ha trovato niente di meglio che lasciare il Consiglio dei Ministri, riunito per il primo decreto organico per l’emergenza, per una comparsata in un talk show. Non c’è da stupirsi se, a quanto è filtrato dalla giornata di ieri, la “manovra coronavirus” non si rivelerà molto diversa dalla legge di stabilità 2020: sostanzialmente vuota di provvedimenti per il sostegno delle imprese. Improntata all’assistenzialismo statalista già ostentato nel reddito di cittadinanza.

Con una logica clientelare-elettorale elementare meglio pensare da subito alla cassa integrazione per i dipendenti delle imprese lasciate annegare piuttosto che provvedere di salvagenti imprese capaci di Pil, export, occupazione, innovazione e (non da ultimo) gettito fiscale.   

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