Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella vola la domenica di Ognissanti a Castagneto per portare il volto (degno) dello Stato nella Lombardia nuovamente aggredita dal virus. Tre giorni dopo – il Quattro Novembre, una data ancora scolpita nella memoria italiana – il premier Giuseppe Conte prende in giro per primi gli abitanti di quel comune bresciano assieme a milioni di altre famiglie italiane: che a ora di cena non sapevano ancora se i figli la mattina dopo avrebbero trovato o no la scuola aperta.



Solo nel prime time del Tg1, Conte ha ripetuto la consueta apparizione mediatica, negando con nonchalance quello che tutti i siti avevano comunicato agli italiani nel pomeriggio: che l’ennesimo Dpcm fissava alla mezzanotte fra il 4 e il 5 novembre il vigore del light lockdown. Un atto di “pieno potere”, con la firma del premier: corretto in corsa, mentre l’intero Paese intasava la messaggistica e i social.



Invece contrordine: ne parliamo per venerdì (o magari venerdì per lunedì prossimo). Anche perché il sottotesto della sceneggiata politico–mediatica appare evidente. Conte – gli italiani devono credergli – non voleva, continua a non volere le “zone rosse”, tanto meno al Nord (dove peraltro, per paura e/o arroganza, non è mai salito durante la pandemia). È invece il ministro della Salute, Roberto Speranza – esponente lucano di Leu – ad aver insistito per chiudere Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige in uno “stato di polizia”. Il governatore leghista Attilio Fontana e il sindaco Pd Beppe Sala protestino dunque con lui se ha scelto i dati (punitivi) del 25 ottobre per mettere le ganasce alla regione più popolosa e produttiva del Paese. Chiedano a lui perché – sorpresa – la Puglia è finita invece in zona arancione e la Campania addirittura in zona gialla.



Ma non erano stati proprio i due esponenti Pd al Sud – Michele Emiliano e Vincenzo De Luca – a dichiarare unilateralmente il lockdown scolastico a dispetto di Conte e della ministra Azzolina? Per non parlare del Lazio governato part–time dal leader Pd Nicola Zingaretti. “Una paziente al San Filippo Neri: io da 24 ore su un’ambulanza”: il titolo – riferito a un grande Covid–hospital romano – ha campeggiato tutto ieri sulla homepage del Corriere della Sera. E invece nella narrazione del governo nella capitale “sta andando tutto bene”. È a Milano che tutto va male: che cova anzi la “rabbia nera” eccetera. Lo ripete del resto da mesi ogni giorno la copertina del Fatto Quotidiano, la pravda del premier.

Chissà perché, allora, da un noto palazzo romano è partita lunedì una video–convocazione urgente per il presidente della Conferenza delle Regioni, l’emiliano Stefano Bonaccini, e per il suo vice, il ligure Giovanni Toti. Chissà perché nello stesso palazzo, sono stati visti subito dopo entrare assieme i presidenti del Senato, Elisabetta Casellati, e della Camera, Roberto Fico.

Non sta affatto andando tutto bene nella Repubblica italiana. E il governo – avrebbe detto Ronald Reagan – appare sempre meno la soluzione dei problemi del Paese e sempre più “il problema”.