Caro direttore,
all’indomani del primo decesso per coronavirus in Italia un importante quotidiano nazionale ha titolato a caratteri cubitali “Virus, il Nord nella paura”. Un approccio apparentemente cronistico ha celato a mala pena una doppia manipolazione mediatica.
La prima è ai limiti del fake: l’emergenza per il coronavirus è nazionale, anzi globale: non certo circoscritta “al Nord (Italia)”. In secondo luogo, l’emergenza (reale) è il rischio epidemico sanitario: non il (presunto) diffondersi della “paura al Nord”, denunciata e demonizzata in anticipo a fini politici. Le amministrazioni regionali del Nord Italia – che avevano prospettato quarantene preventive ritenute ragionevoli perfino dalle comunità cinesi nel Paese – sono state accusate di razzismo strumentale. La stessa fatwa continua a colpire – anche in queste ore – l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini: “razzista a prescindere” quando raccomanda una vigilanza rafforzata sugli sbarchi di immigrati provenienti dall’Africa ad alta penetrazione cinese, a sicurezza sanitaria minima, a monitoraggio statistico vicino allo zero.
Il linguaggio d’odio verso il Nord – in nome del contrasto alla sue (presunte) “degenerazioni fascioleghiste” – attinge livelli di violenza ogni giorno più alti: sempre più manifestamente strumentali alla contrapposizione politica interna. La campagna d’odio contro gli italiani del Nord è del resto costitutiva del governo Conte 2: sostenuto da forze politiche maggioritarie nel Centro–Sud del Paese e formato quasi per intero da ministri eletti al Sud (oppure non eletti: come il premier – pugliese – Giuseppe Conte, o l’ex prefetto di Milano Luciana Lamorgese).
La campagna d’odio contro il Nord e le sue rappresentanze democratiche in Parlamento ha preso ad emergere in modo palese allorché lo scorso agosto il premier (un non parlamentare) ha attaccato violentemente in Senato il suo vicepremier, senatore eletto e leader del partito maggioritario nelle regioni del Nord Italia e ora anche a livello nazionale dopo le ultime elezioni europee. Pochi giorni dopo, un nuovo attacco personale e politico è giunto da un senatore a vita che in termini poco equivocabili – nell’aula di Palazzo Madama – ha accusato di “nazismo” Salvini (ed evidentemente con lui il 49% dei lombardi che nel 2018 ha votato un governatore leghista e il 50% dei veneti che hanno fatto lo stesso nel 2015). A partire da quella presa di posizione (e da un clamoroso fake giornalistico) è poi maturata l’iniziativa di una commissione parlamentare straordinaria “contro il linguaggio d’odio” ispirata ancora a tenere sotto scacco politico–mediatico il partito che rappresenta largamente la società e l’economia del Nord. Salvini – su esposto di una Ong alla Procura di Catania e poi per istanza Tribunale dei ministri di Palermo autorizzata dal Parlamento – è finito intanto sotto processo per aver esercitato le sue funzioni di ministro dell’Interno in occasione del caso della nave Gregoretti. La Corte di Cassazione ha dato nel frattempo ragione alla “capitana” Carola Rackete che ha speronato una nave militare italiana che difendeva i confini marittimi meridionali su direttive del ministro (a proposito: nessuno ha mai avuto notizia di Rackete impegnata in speronamenti di cortei neonazisti reali delle città della Germania orientale).
Il primo atto in assoluto del Conte 2 è stato l’impugnazione di una legge della Regione Friuli-Venezia Giulia (amministrata dalla Lega dopo un netto successo elettorale) da parte del neo–ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia (esponente del Pd pugliese, nettamente sconfitto al voto 2018). La legge in questione mirava, fra l’altro, al contrasto alla disoccupazione con agevolazioni alle imprese che assumessero residenti in Regione (non “italiani nativi”) da almeno 5 anni.
Mentre la richiesta di autonomia rafforzata – votata con referendum tre anni fa in Veneto con affluenza al 57% e maggioranza plebiscitaria – rimane lettera morta, non è mancata una sortita di Giuseppe Provenzano: nuovo ministro “per il Sud” (a proposito: perché sempre e solo un ministro “per il Sud” e mai “per il Nord”? Per di più in un governo già quasi interamente “per il Sud”). A quasi 120 anni dai primi saggi (autenticamente) meridionalisti di Francesco Saverio Nitti, secondo Provenzano il Nord dovrebbe sentirsi ancora in obbligo di “restituire” risorse al Sud. Perfino il vero leader del centrosinistra al Nord – il sindaco di Milano Beppe Sala – di fronte a queste affermazioni ha fatto filtrare più di un semplice fastidio.
La manovra 2020 è stata predisposta sotto la regia dal ministro per l’Economia e le Finanze, Roberto Gualtieri: uno storico di formazione marxista, originario di Roma, cresciuto nei quadri del Pci/Pd della capitale, prima di essere eletto direttamente all’Europarlamento. La legge di stabilità ha previsto la conferma del reddito di cittadinanza assistenzialista in deficit largamente orientato all’elettorato del Centro-Sud; la cancellazione della flat tax per le piccole partite Iva largamente diffuse nel Nord e della cedolare secca sugli affitti di negozi a piccoli commercianti e artigiani; l’introduzione di una pluralità di nuove “tasse sulle imprese” come sugar e plastic. Lo stesso piano Industria 4.0 – volto alla digitalizzazione manifatturiera – è stato confermato dal governo giallorosso con qualche esitazione e alcuni depotenziamenti. Provvedimenti affannosi – e forse tecnicamente sfasati e controproducenti – come il taglio del cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente, sono stati infine resi compatibili con i vincoli Ue ai conti pubblici solo attingendo a una sempre virtuale “lotta all’evasione”. Reale è invece la campagna d’odio politico–amministrativo lanciata da Gualtieri contro gli “evasori”, sempre identificati con imprenditori e lavoratori autonomi di quel Nord che ha difeso il Pil dell’Azienda–Italia ma ricadendo sempre nel “vizio” di assegnare alla Lega percentuali maggioritarie di voto democratico.
Oggi Papa Francesco sarà in visita a Bari. Commetterebbe un grosso errore – un grosso peccato, senz’alcuna virgoletta o altra qualificazione – chiunque cercasse di manipolare il suo magistero pastorale per alimentare l’odio contro il Nord Italia e le sue rappresentanze politiche. È un odio che nell’Italia del Sud non c’è. Nel Meridione ci sono invece il dramma reale dell’Ilva piuttosto che quello della “terra dei fuochi” o cento altri. L’odio scaturisce semmai da una cattivo meridionalismo strumentalizzato a fini di un cattivo esercizio del potere: soprattutto se quest’ultimo è tutt’altro che fondato su una vera legittimazione democratica.
Non c’è odio neppure al Nord: neppure contro gli immigrati africani che sbarcano nell’Italia del Sud. È un odio che rischia invece seriamente di dilagare – peggio di un virus – fra italiani (anche fra cattolici): in un Paese abbandonato alle sue emergenze reali da chi – istituzionalmente – ha chiesto e ricevuto un mandato degli italiani a guidarlo.
Per chi non ha questo mandato non c’è mai posto nel governo del Paese e delle sue crisi, meno che mai in questa fase. Per chi è stato investito di questo mandato, è tempo di rispondervi senza indugio.