Caro direttore,
la situazione completamente anomala creata dall’emergenza coronavirus comporta che la larga parte della popolazione coinvolta – da ultimo dalle misure decise dal governo – non lo sia in termini diretti: come sarebbe dopo un terremoto.

Dodici milioni di italiani – uno su cinque – non si ritroveranno in preda a choc post–traumatico, senzatetto, circondati da soccorritori in cerca di dispersi. Non si ritroveranno a piangere decine di morti sotto le macerie in un quartiere o in una cittadina. Non si ritroveranno ammassati per mesi nelle tende della Protezione civile e poi in case–container. Non avranno perso impresa o lavoro perché lo stabilimento o gli uffici sono crollati. Faticheranno anche a sentire attorno a sé la solidarietà degli altri italiani o degli altri europei. Anzi.



Si ritroveranno isolati dal resto del Paese, oltreché dell’Europa e del mondo. Condivideranno tutti l’angoscia sottile per il rischio–contagio: tanto più insidiosa quanto più invisibile e intangibile. Saranno sempre più inattivi, questi italiani, anzi: molti fin dalle prossime ore potranno decidere di cessare anche un’attività minima, per quanto autorizzata. Che senso ha – anzitutto sul piano economico – temere aperto un bar o un negozio se non ci viene nessuno?



Avranno molto tempo libero, per quanto sgradito, questi italiani. Lo riempiranno di rabbia e preoccupazione, sempre di più. Se l’informazione continuerà a circolare liberamente (nella zona rossa di Wuhan non è stato così e ci sono ormai dubbi anche su quanto avviene in una Germania o in una Francia ancora ufficialmente “bianche”) potranno ricorrere ai social media più ancora che negli ultimi giorni. Potranno fare più surfing sui siti: italiani e internazionali. Come quello della Frankfurter Allgemeine Zeitung – il principale quotidiano tedesco – che ieri sera appaiava a fondo homepage una rassicurante fotonotizia sul coronavirus in Germania (un giovane sorridente su un divano) e una fondamentale ripresa dall’Italia del caso del giovane rapinatore ucciso a Napoli da un carabiniere.



L’Italia del Nord ferma e isolata osserverà quella del Sud – egemone nel governo del Paese – continuare a prendere decisioni su quella del Nord, con il sospetto crescente che il proprio destino sia in mano a governanti impreparati o non all’altezza dell’emergenza. Che a decidere sul Nord sia una politica ostile al Nord. Dai palazzi romani usciranno prevedibilmente scelte sempre più frenetiche e contraddittorie: non meno, del resto, di quelle assunte dall’esecutivo giallorosso sui terreni della politica economica o della gestione dei flussi migratori.

Dovrà assistere, l’Italia del Nord paralizzata dietro un vetro, all’esaperato esibizionismo mediatico di un premier mai eletto né dal Nord né dal Sud. Non potrà gridare a nessuno di “tornare a bordo”: ministri come Roberto Gualtieri al Mef, Luigi Di Maio agli Esteri, Stefano Patuanelli al Mise, Roberto Speranza alla Salute, Nunzia Catalfo al Welfare, Luciana Lamorgese agli Interni, sono saldamente ai loro posti dallo scorso 5 settembre. E se oltre a molti indizi può valere una nota massima latina – post hoc propter hoc – tutto ciò è avvenuto mentre e quindi perché era in carica il Conte 2.

Quando “tutto ciò” sarà superato – speriamo presto e con danni non irreparabili – il Presidente della Repubblica avrà un compito istituzionale quasi improbo per la fase finale del suo mandato. Si ritroverà a essere l’unico punto d’appoggio di una repubblica disrupted anzitutto nella sua coesione civile. Il Quirinale promette di essere l’unico momento ricostruttivo credibile di un’Italia poco diversa da quella squassata e divisa dalla Linea Gotica sul finire della seconda guerra mondiale.

Ieri, poco prima del varo dell’ennesimo e forse definitivo “decreto Conte”, hanno preso a circolare congetture di rinvio a ottobre sia del referendum sul taglio ai parlamentari, sia della tornata di elezioni amministrative in programma in primavera. Quella di un voto in autunno appare in effetti una prospettiva realistica, anzi necessaria: naturalmente per una consultazione politica generale.  

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