L’iscrizione di John Elkann sul registro degli indagati della Procura di Torino ha fatto rumore, ma non quanto quello provocato – poco meno di 30 anni fa – dall’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi, allora Premier. Ma è difficile, anche su un arco temporale molto lungo, non stabilire qualche accostamento: troppi i corsi e ricorsi nel trentennio della “Repubblica giudiziaria” che ha fatto da matrice profonda per la Seconda.
Una prima constatazione (scevra da giudizi) può traguardare due grandi famiglie del grande capitalismo nazionale, per molti versi agli antipodi. Il presidente di Exor e Stellantis – attuale capo della famiglia Agnelli, ormai a vent’anni dalla morte dell’Avvocato – ne rappresenta la quinta generazione, mentre Marina e Piersilvio Berlusconi – seconda generazione – sono appena succeduti al Cavaliere alla guida del gruppo Fininvest. Vi sono pochi dubbi – almeno ad oggi – che a successione di Arcore si sia avviata in modi più lisci di quanto sia avvenuto a Torino lungo l’intero ventennio successivo alla scomparsa dell’Avvocato: sia sotto il profilo patrimoniale che imprenditoriale.
Attorno alla collina torinese, peraltro, una famiglia che non aveva potuto contare sulla seconda generazione (Edoardo Agnelli, figlio del fondatore) si è trovata priva anche della quarta in circostanze altrettanto tragiche (le scomparse premature del figlio e del nipote dell’Avvocato, oltre a quella del fratello Umberto). E mentre la successione del Cavaliere – da lui attentamente preparata – ha coinvolto solo i suoi cinque figli, quella di Villa Frescot ha interessato nei fatti decine di cugini, figli e nipoti dell’Avvocato e dei suoi quattro fratelli e sorelle.
Non può essere certamente dimenticata neppure la morte, a soli 66 anni, di Sergio Marchionne: il manager che aveva salvato il Lingotto, l’aveva rilanciato con la fusione transatlantica con Chrysler e avrebbe certamente giocato il futuro di Fca da posizioni di forza nel risiko fra i giganti globali dell’auto. La successiva fusione di Fca con Psa in Stellantis – decisa da Elkann in chiave essenzialmente difensiva e finanziaria – è invece alle cronache in questi giorni con tutt’altre ragioni: una conferma forse definitiva che il gruppo Fiat è ormai quasi un ricordo, dopo essere stato per un secolo intero il protagonista assoluto dell’Italia industriale, finanziaria e infine politica.
La stessa figura di “Jaki” – nato a New York e cresciuto principalmente come gestore finanziario delle partecipazioni miliardarie della holding di famiglia – sembra ribadire che he gli Agnelli sono già a un “dopo”, mentre i due figli maggiori del Cavaliere sono ancora in un pieno “durante”. Lo sono non da ultimo, i due principali eredi Berlusconi, nell’amministrazione del lascito politico del padre: tre volte Premier e fino all’ultimo giorno di vita senatore eletto (Gianni Agnelli lo era invece “a vita”, su nomina presidenziale e i suoi due fratelli affacciatisi in politica, Umberto e Susanna non arrivarono mai al proscenio).
È naturalmente ancora presto per capire se la successione Berlusconi sarà fino in fondo una storia di successo e in che termini. Ad oggi, sicuramente, Mfe – la holding olandese delle attività televisive di Fininvest – è una capogruppo operativa, a differenza di Exor NV, pure basata nei Paesi Bassi, ma come pura cassaforte finanziaria degli Agnelli.
Fra un avviso di garanzia e l’altro, a distanza di un trentennio, è possibile individuare altri richiami. Il “proiettile giudiziario” del 1994 viene sparato dalla Procura di Milano ancora in piena Mani Pulite, immediatamente a valle della clamorosa e vittoriosa “discesa in campo” di Berlusconi alla guida di un nuovo centrodestra. Ancora tenacemente impegnata a perseguire i rapporti inquinati fra affari e politica (quest’ultima riassunta nella figura di Bettino Craxi), il palazzo milanese si trova ad aprire in fretta un nuovo fronte contro quello che viene considerato l’erede di un presunto “regime”. E una magistratura ad alta caratura ideologica non mostra esitazioni a “scendere in campo” a sua volta, supplendo per quasi alla costante debolezza politica del centrosinistra.
Il fronte giudiziario (che nel 1993 aveva coinvolto anche la Fiat, ma non personalmente l’Avvocato, protetto dal super-manager Cesare Romiti) evolve rapidamente in una sorta di guerra infinita “ad personam” contro il Cavaliere-premier: giù giù fino al “caso Ruby”. Un confronto alla fine perduto dai magistrati: il Cavaliere viene estromesso da palazzo Chigi solo dalla crisi geopolitica e finanziaria del 2011, senza peraltro venire eliminato dalla vita politica, mentre il suo impero economico resta intatto (all’interno di un duopolio tv che mai nessun Governo ha scalfito, né quelli di centrosinistra, né quelli tecnici). E quando Berlusconi viene a mancare, nel giugno scorso, il primo Governo autenticamente politico dopo un decennio di “democrazia sospesa” ha una maggioranza di centrodestra ed è guidato da una “promessa” del vivaio berlusconiano.
John Elkann finisce invece sul registro degli indagati della Procura di Torino su esposto della madre per l’eredità della nonna Marella (dopo i lunghissimi strascichi dell’eredità dell’Avvocato). È una vicenda del tutto privata in cui i pm si muovono quasi per dovere di routine: neppure d’iniziativa, com’è accaduto due anni fa per il cugino Andrea Agnelli, nell’inchiesta sui conti della Juventus.
La notizia giunge all’indomani di una plateale risposta politico-mediatica di “Jaki” allo scontro accesosi fra il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, e il Governo italiano sui sussidi pubblici all’auto elettrica. Il tour romano del Presidente di Exor (primo azionista di Stellantis) ha compreso tutti i palazzi che contano (a cominciare dal Quirinale), ma nulla ha potuto contro il missile giudiziario azionato da Margherita Agnelli
Le due maggiori testate oggi di proprietà della famiglia Agnelli (Repubblica e La Stampa) hanno ripreso nelle pagine interne un laconico lancio serale dell’agenzia Ansa. Nell’ottobre del 1994, l’avviso di garanzia a Berlusconi fu uno scoop a tutta prima pagina del Corriere della Sera. Il cui primo azionista era allora la Fiat dell’Avvocato Agnelli.
Il Governo Berlusconi-1 (spregiato dall’Avvocato come appropriato per una “Repubblica delle banane”) cadde pochi mesi dopo. Ma era trascorso meno di un decennio quando i vertici Fiat furono costretti a un’umiliante visita festiva ad Arcore per ricevere il placet del Cavaliere – tornato a palazzo Chigi – per il salvataggio del gruppo. Fu allora che Berlusconi si lasciò scappare una delle sue molte gag da collezione. Lasciando intendere che se non fosse stato Premier si sarebbe volentieri cimentato lui nel rilancio del Lingotto, non perse l’occasione per dispensare un provocatorio consiglio di marketing strategico: utilizzare “Ferrari” come nuovo brand al posto di Fiat.
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