Dalla sua Amaca semifestiva Michele Serra si è premurato di sostenere Enrico Letta, che “insiste per lo ius soli, non molla sulla tassa di successione, fa quadrato sulla legge Zan”. Neppure il profeta maggiore della vecchia sinistra radical chic si sente evidentemente “sereno” sul futuro del Pd “bolognese”, sardinesco e neo-prodiano che ha appena strappato la segreteria a quello “romano”, funzionariale e zingarettiano. Che poi un corsivo-girotondo, adatto a un ponte di inizio estate, sia la scelta più azzeccata per ritentare un po’ di “resistenza umana” con prospettive politiche è tutto da dimostrare.
Nanni Moretti si mosse a valle della sconfitta dell’Ulivo del 2001 (comunque onorevolissima: 42 a 38 al Senato). Cominciò a riunire i cosiddetti “ceti medi riflessivi urbani” nei sabati mattina dell’inverno 2002: molti arrivavano con gli sci già caricati in auto, altri erano impazienti di inoltrarsi nei loro weekend di cinema, teatri, librerie, mostre, locali di disparate tendenze “corrette”. Da allora il centrosinistra è diventato sempre più “morettian/serresco” ma ha perso voti in proporzione, nonostante la nascita del Pd veltroniano (poi bersaniano, poi lettiano, poi renziano, poi zinga-bettiniano, ora lettiano 2.0).
Il regista romano brandì abilmente nelle piazze il “resistere, resistere, resistere” lasciato giusto allora come eredità etico-politica dal procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli. Oggi è la magistratura ad offrire lo spettacolo di estremo degrado istituzionale che Mani Pulite pretese di combattere nella classe politica. E il Csm balcanizzato – con procure e tribunali ormai assorbiti da una rissa continua fra bande giudiziarie – ha mandato definitivamente in frantumi il mito della superiorità morale della sinistra al confronto di un centrodestra per definizione “impresentabile”, fatto di “italiani che sbagliano”.
Non è quindi un caso che Serra sorvoli sul fatto che il Pd neolettiano – iper-riformista su tutti i “diritti” (salvo il diritto-dovere al lavoro) – resti invece freddo su ogni ipotesi di riforma della giustizia: anche se a volerla è quell’Europa che il leader Pd ha insegnato durante il suo esilio parigino.
Se Letta è comunque riuscito a succedere a Zingaretti in meno di un mese, dopo quattro mesi Giuseppe Conte non è ancora riuscito a diventare l’erede di se stesso: trasformandosi da doppio premier trasformista in leader del partito che lo ha spedito due volte a Palazzo Chigi anche se non era un iscritto. Ma è un Movimento a sua volta radicalmente trasformato quello che ha perso la guida carismatica di Beppe Grillo e quella para-tecnocratica della Casaleggio Associati. Un para-partito fermo da settimane fra gli scogli di cause civili, fino alla rottura di ieri.
Ed è un leader – Conte – che a mala pena sembra poter valutare la propria candidatura alle suppletive di Roma: cui sarebbe propenso, peraltro, a rinunciare (sul Tevere M5s e Pd sono al momento su sponde contrapposte nella corsa al Campidoglio). Letta, dal canto suo, non è da meno: non sarebbe intenzionato a presentarsi alle suppletive che si terranno nella sua Toscana. Anche il seggio di Siena (lasciato libero dall’ex ministro Piercarlo Padoan) è uno dei tanti diventati a rischio per il Pd. Almeno su questo, un segretario già quasi dimezzato dalla sortita di Goffredo Bettini sul referendum Lega-Radicali sulla giustizia e il non-ancora-segretario di M5s, sembrano marciare nella stessa direzione.
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