Come non comprendere Sergio Mattarella? Il Presidente della Repubblica è un uomo delle istituzioni dal curriculum impeccabile e sterminato; ma rimane un politico a tutto tondo. E quando vede il “suo” Pd drammaticamente latitante nell’imminenza di un voto è naturale che si preoccupi come politico, oltre a farlo come garante istituzionale della democrazia italiana. Pare lecito riconnettere anche a questo il recente crescendo di esternazioni “semipresidenzialiste”, che non stanno facendo arricciare nasi – almeno per ora, almeno nel confronto pubblico – solo per il rispetto che il personaggio ha saputo meritarsi. Ma forse anche perché Mattarella, obbligato a muoversi da “leader supplente” del Pd, ne certifica la crisi profonda.
La stessa premier Giorgia Meloni evita sistematicamente la polemica diretta con il Quirinale: anche quando – vedasi il caso del “Ramadan di Pioltello” poco dopo quello dei “manganelli di Pisa” – è stato il Quirinale a lanciare due attacchi diretti (e non del tutto rituali) al governo di centrodestra. Meloni sa che la partita decisiva resta quella del premierato, che però intende giocare solo dopo il rigiro di carte dell’eurovoto.
Nel frattempo è Mattarella a difendere le posizioni lasciate sguarnite ovunque da Elly Schlein, che non sta facendo o quasi campagna elettorale, esponendo invece in vetrina i grotteschi contorcimenti “dem” sulle candidature (a cominciare da quella della stessa segretaria, prevedibilmente “di sola andata” verso Strasburgo). Non fosse stato per l’82enne cofondatore del Pd oggi al Quirinale, Schlein si sarebbe fatta sfuggire le occasioni tattiche di far passare per “vetero-squadrista” e “neo-razzista” il primo governo “post-fascista” della storia repubblicana.
Il blitz sul Viminale – con gli scontri di Pisa sulle prime pagine alla vigilia del voto in Sardegna – ha afferrato per il centrosinistra una vittoria elettorale in trasferta, sicuramente preparata da alcuni errori del centrodestra. Il caso Pioltello ci ha messo alcuni giorni per “bucare” i media, ma ancora una volta è stato il Quirinale ad imprimere la svolta. E se il ministro Valditara si è sentito obbligato a una reazione che il collega Piantedosi aveva invece trattenuto, la nuova sortita di Mattarella sembra fornire ulteriori spunti di riflessione.
A differenza di Pisa – o dalla rete degli atenei in agitazione – Pioltello è nel perimetro della Grande Milano, su un crinale critico strutturale nella politica nazionale. Milano è il capoluogo della Lombardia: la più ricca e popolosa regione italiana, governata da quasi un trentennio dal centrodestra (negli ultimi dieci dalla Lega) senza che il centrosinistra mostri tuttora capacità minime di opposizione elettorale. Ma a Milano-città la Lega non ha mai sfondato (e ultimamente nemmeno Fratelli d’Italia). Al contrario: dopo due sindaci ambrosian-berlusconiani (Gabriele Albertini e Letizia Moratti) dal 2011 il sindaco è sempre stato di centrosinistra. E Beppe Sala si muove da tempo come “riserva” di uno schieramento politico incapace di dar vita a “campi” elettorali di qualunque misura.
La provocazione politica sulla chiusura scolastica per il Ramadan sembra quindi guardare un’opposizione più vasta rispetto all’alt ai “manganelli”, un po’ stereotipato. Al Nord la presenza di immigrati è forte e radicata e le spinte socioeconomiche all’integrazione hanno mostrato di saper contenere i conati di razzismo populista. L’“incidente di Pioltello” sembra quindi efficace, ora, nel legittimare un intervento a gamba tesa del Quirinale, formalmente sul piano della legalità costituzionale ma di fatto innervato in un confronto squisitamente politico. Su un terreno molto più problematico (anche per il centrodestra odierno) ma anche molto più strategico rispetto a Sardegna, Abruzzo, Basilicata.
Fra Pisa (e Roma e Torino e Napoli) e Pioltello sembrano d’altronde correre due fili non trascurabili. Il primo è l’attenzione attiva del Presidente “dem” per i fermenti nel mondo della scuola: cioè in direzione dell’elettorato più giovane, di oggi e di un futuro prossimo (gli studenti universitari e medi, le famiglie degli allievi della scuola primaria). Un elettorato sempre più disamorato della politica tradizionale e invece più sensibile alle singole “cause”, soprattutto se motivo di protesta contro chi governa (chiunque sia o quasi). Sommato – nel caso di Pioltello – all’impatto vasto su una categoria professionale come quella degli insegnanti, prevalentemente orientata al centrosinistra, il soffio sulle braci del Quirinale appare quindi politicamente più che mirato.
Un secondo legame oggettivo è rappresentato dall’emergere rilevante – nelle università ribollenti come a Pioltello – di quella che può essere definita “questione mediorientale”. Gli studenti universitari protestano contro Israele e a favore dei palestinesi a Gaza. A Pioltello è in gioco la libertà religiosa, anzi: la coesistenza fra etnie connotate da diversi credi religiosi in un importante Paese “occidentale” come l’Italia. Ancora una volta: sembra difficile contestare al Quirinale l’approccio civile/istituzionale della “strigliata” per la repressione dei cortei di Pisa, così come della lettera di appoggio al preside della scuola di Pioltello, intitolata a Iqbal Masih, ragazzo pachistano trucidato dagli sfruttatori di lavoro minorile. È tuttavia innegabile, nelle diverse mosse, anche una netta valenza politica, carica di complessità. E non può certamente stupire che il “cattodem” Mattarella – da sempre sensibile al magistero di Papa Francesco, appena oltre il Tevere – si carichi di responsabilità che la leader del Pd continua a fuggire.
Accade così che sia il Presidente – sempre coerente sia sul piano istituzionale che politico – a dover prendere le difese degli studenti in corteo: anche a rischio di appiccare qualche incendio di piazza, che sarà peraltro compito del governo controllare e spegnere. Accade così che il Quirinale rimarchi la sua solidarietà con ragazzi e genitori immigrati della stessa etnia religiosa dei “resistenti di Gaza”. Ma il Presidente che sembra oggi mordere un po’ il freno sull’allineamento italiano con il bellicismo Usa-Nato su Israele e Ucraina, è lo stesso che ha nominato Liliana Segre senatrice a vita, che gira le scuole per testimoniare la Shoah.
Chi resta “missing” – su tutto – è il Pd di Schlein. Concentrata nello spartire in anticipo seggi all’europarlamento che forse non conquisterebbe se a fare campagna per lei non ci fosse – maniche rimboccate e mani nella malta – un espertissimo leone della Prima Repubblica.
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