Caro direttore,
la crisi del governo italiano si avvia a conclusione in una cornice di pressioni internazionali ai limiti dell’interferenza.

Giovedì scorso, quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, stava ultimando il primo giro di consultazioni, un grande quotidiano nazionale ha pubblicato con risalto un’intervista al presidente francese Emmanuel Macron, alla vigilia del G7. Dopo aver espresso pesanti critiche al governo italiano uscente, Macron ha detto di “aver fiducia in Mattarella” con toni perentori.



Domenica il presidente della Repubblica tedesca, Frank Walter Steinmeier, è venuto in visita in Italia: ufficialmente per portare la “vergogna” del popolo tedesco per la strage nazista di Fivizzano, nel 1944. Nei fatti è stata l’occasione per una photopportunity del massimo livello istituzionale con il collega italiano, mentre il percorso del “ribaltone” a Palazzo Chigi entrava nella sua fase critica.



Sempre domenica, nel suo intervento al summit di Jackson Hole, a otto fusi orari da Roma, il presidente della Fed, Jay Powell, ha citato la crisi di governo in Italia come un fattore di instabilità per l’economia globale al pari della guerra commerciale Usa-Cina.

Lunedì mattina l’edizione digitale del Financial Times ha tenuto in apertura uno scoop da Bruxelles. Protetti dall’anonimato, alcuni “alti funzionari Ue” hanno riferito di uno studio preliminare per modificare i parametri di Maastricht riguardo al debito pubblico dei Paesi dell’Unione. Il riferimento esplicito è stato ancora alla crisi politica in Italia, anche se il taglio del report era ambiguo: tanto che i media italiani, nel riprenderlo, si sono divisi tra chi vi ha visto una lusinga della nuova Commissione von der Leyen al possibile nuovo governo M5s-Pd e chi una minaccia al possibile prosieguo della maggioranza giallo-verde.



Martedì, poi, il tweet del presidente americano Donald Trump, a favore della conferma del premier italiano dimissionario. L’unico – Giuseppe Conte – fra i sette leader mondiali riuniti a Biarritz a non essere (mai) stato eletto dai suoi concittadini in un voto democratico.

Tutti i singoli momenti citati e il loro complesso meriterebbero certamente approfondimenti di merito. Ciò che appare fuori di dubbio è che per espellere dalla governance italiana la prima forza politica del Paese, rappresentante elettorale maggioritaria dell’80% del suo Pil, si sono scomodati i Grandi della Terra, utilizzando maniere forti. Indipendentemente dall’esito della crisi politica, non sembra una buona notizia per la democrazia italiana. Checché ne pensino i costituzionalisti ossessionati dalla (presunta) illiberalità di Matteo Salvini.