Nel luglio 2019 un lungo e tormentato Consiglio Ue partorì Ursula von der Leyen quale nuovo presidente della Commissione di Bruxelles. Derivato diretto – e forse più importante – di quel passaggio fu il ribaltone di governo in Italia: esplicitamente battezzato “operazione Orsola” da Romano Prodi che ne fu grande artefice dietro le quinte fra Roma, Parigi, Berlino, Strasburgo e Bruxelles.
Si trattò della risposta laboriosa all’esito del voto europeo di due mesi prima. La netta avanzata della Lega in Italia era apparsa simbolica della crisi delle forze politiche tradizionali (Ppe, Pse, liberali), poco compensata dal progresso dei Verdi. La reazione del legittimismo tecnocratico europeo si concentrò su Matteo Salvini – vicepremier italiano in carica – e si rivelò particolarmente violenta. Tre giorni dopo il voto per l’europarlamento, la Commissione uscente varò contro l’Italia una procedura d’infrazione per debito pubblico, senza precedenti in 62 anni di storia europea. E alla vigilia del Consiglio Ue la “capitana Carola”- con passaporto tedesco e padre con un passato di ufficiale di marina – al timone di una nave carica di migranti speronò una motovedetta militare italiana nel porto di Lampedusa.
Fu a quel summit di Bruxelles che il premier Giuseppe Conte pose le premesse del ribaltone interno del mese successivo. A nome dell’Italia diede il placet a von der Leyen (sulla quale dovette invece astenersi la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel, inizialmente favorevole al socialista olandese Frans Timmermans). E a nome di M5s, Conte mercanteggiò i voti degli europarlamentari grillini a favore della nuova Commissione in cambio della presidenza a Strasburgo per David Sassoli: nonostante il Pd fosse all’opposizione in Italia e il Pse avesse accusato una secca sconfitta nella consultazione democratica continentale. Fu il suggello iniziale all’asse fra il centrosinistra prodiano e il grillismo contiano che da un anno governa l’Italia sotto sostanziale tutela franco-tedesca.
Se il Conte-2 non ha svolto di fatto alcuna azione di governo nei dodici mesi successivi all’agosto 2019, ciò è avvenuto perché la sua mission condivisa con i poteri europei era chiara ed elementare: allontanare la Lega dalle leve del potere e logorarne la forza maggioritaria nel Paese, soprattutto nel Nord più avanzato sul piano economico. La procedura per debito puntata contro il Conte-1 è stata subito cancellata a beneficio Conte-2 e la questione è stata congelata (anzitutto da parte del neo-commissario Ue agli Affari economici, il dem italiano Paolo Gentiloni). È stata invece tollerata – anche prima della sospensione dei parametri di Maastricht per il Covid – la prosecuzione di politiche assistenzialistiche in deficit/debito da parte di un governo “giallorosso” fortemente radicato nel Centrosud. Salvini è stato messo nel frattempo sotto processo per le decisioni assunte come ministro dell’Interno e le navi delle Ong hanno ripreso a sbarcare migliaia di migranti sulle coste italiane. Tutte le frontiere europee sono intanto rimaste chiuse ai flussi dall’Africa anche prima dell’emergenza Covid e sono state ulteriormente sigillate da marzo in poi: salvo che in Italia.
Il Consiglio Ue chiuso martedì scorso con un accordo sul Recovery Fund non è stato meno complesso di quello di un anno fa, ma ha avuto sviluppi ed esiti molto più definiti. Li ha governati con mano ferma la cancelliera tedesca, evidentemente ripresasi dalla defaillance personale del 2019. Il comunicato finale ha i connotati di un mini-trattato: quanto meno delle premesse di una “terza fase” dell’Unione, dopo i patti di Roma 1957 e quelli di Maastricht 1991. I suoi paletti di estrema sintesi appaiono questi:
– riaffermazione della leadership della Germania sull’Ue (dopo lo sbandamento nel 2019, abilmente sfruttato dalla Francia di Emmanuel Macron per insediare Christine Lagarde al vertice Bce);
– funzione decisiva di Berlino nell’arbitraggio politico-finanziario fra Europa del Nord, del Sud e dell’Est, sia per gli equilibri interni all’Unione, sia per le relazioni esterne (verso Usa, Cina, Russia);
– ripresa di ruolo da parte della politica sull’eurocrazia (Consiglio dei capi di Stato e di governo versus Commissione);
– derubricazione tendenziale delle pregiudiziali “etico-politiche”: verso l’Italia “grande debitrice” piuttosto che verso l’Ungheria o la Polonia sul terreno dello “stato di diritto”.
E su questo aggiustamento politico-istituzionale che è maturato il compromesso sulla grande manovra finanziaria post-Covid in Europa. Nei fatti, quest’ultima ha visto l’Italia ottenere circa 200 miliardi di sussidi e crediti in cambio di forme di controllo politico europeo, per quanto al momento meno strette di quelle imposte alla Grecia nel 2015. Sono comunque molti gli indizi che la prima delle “condizionalità” cui Roma dovrà sottostare sarà la richiesta di accesso ai fondi Mes: ciò che renderebbe più evidente per l’Italia lo status di “Paese salvato e assistito”. Su questo sfondo è ancora attuale e funzionale il “governo Orsola”?
Il braccio di ferro subito ingaggiato da Conte – sempre più asserragliato a palazzo Chigi – sulla regìa dell’impiego dei fondi per la Ricostruzione va opportunamente collocato in questa cornice europea. Il Premier che si è seduto a nome dell’Italia al tavolo dei due “eccezionali” Consigli Ue del 2019 e 2020 rivendica il ruolo di interlocutore affidabile per l’Europa. Ha portato a termine la missione affidatagli “ad personam” un anno fa: prima ha contribuito ad arginare in Emilia-Romagna l’ulteriore avanzata elettorale della Lega in Umbria e Calabria; poi ha “mantenuto l’ordine” a colpi di Dpcm nel Paese spazzato per primo dalla pandemia proveniente dalla Cina. Nel Pd e in M5S sono forti le spinte a dinamiche di fusione in un “partito di Conte”: che tuttavia stenta a decollare concretamente sul piano elettorale anche in Puglia, la regione del Premier.
La Lega ha nel frattempo perso un terzo del suo score elettorale alle europee di un anno fa ed è incalzata da una magistratura resa più aggressiva da una grave crisi interna. Il centrodestra appare intanto spezzato in tre tronconi: Silvio Berlusconi – in conflitto d’interesse strutturale con i suoi business personali – è pronto all’ennesima piroetta “responsabile” a puntello del Conte-2. Giorgia Meloni – in boom nei sondaggi – lancia segnali d’apertura di più alto spessore politico: un’ipotesi di appoggio esterno alle manovre finanziarie del Governo in cambio della guida di una commissione bicamerale di sorveglianza sulla Ricostruzione. Basterà tutto questo a Conte – e al Quirinale – per difendere il “governo Orsola”? Oppure sarà inevitabile il passaggio a un “governo Angela”, diverso nella guida e nella struttura?
Una risposta non è facile e forse non arriverà neppure in tempi brevi. Lo “schema Merkel” vincente a Bruxelles sembra di per sé prospettare un superamento del Conte-2. La minaccia-Lega sembra disinnescata (anche per l’azione di recupero selettivo operato da Berlino verso i sovranisti di Visegrád). E il rigido “pareggio” indotto dalla cancelliera fra i “frugali” del Nord e i Paesi diversamente deboli del Sud (Italia, Francia, Germania) sembra aver tolto tolto vigore all’ideologia assistenzialista che è stata uno dei collanti di facciata fra Pd e M5S. Nonostante l’offensiva di comunicazione di palazzo Chigi, è stato chiaro che all’Italia gli aiuti non sono stati concessi sotto forma di “diritto alla solidarietà”, ma nello sviluppo continuo di processo politico fatto di “dare” e di “avere” avviato prima del Covid e non limitato all’emergenza-pandemia. È evidente la preoccupazione dei “frugali” – certamente condivisa da Merkel – che un Paese come l’Italia utilizzi gli aiuti europei per rinviare ancora il riequilibrio delle proprie finanze pubbliche e le riforme per il rilancio dell’economia. A dispetto di alcune attese, per Roma il Recovery Fund non prospetta una fase di “spesa euforica”, quanto un più stretto monitoraggio politico su un percorso di stabilizzazione economico-finanziaria e di riallineamento ai parametri Ue. Conte – sia in versione “gialloverde” che “giallorossa” – è il Premier italiano giusto, per l’Europa prima ancora che per l’Italia?
Un punto interrogativo specifico riguarda l’impatto dello “schema Merkel” su un’Italia divisa e polarizzata: governata dal Centrosud “giallorosso”, cronicamente arretrato; con il Nord – creatore netto di ricchezza e sviluppo – all’opposizione sociopolitica. La maratona di Bruxelles ha visto la statista più potente e prestigiosa in Europa – una leader moderata alla guida della “locomotiva economica” – mediare fra i Paesi del Nord (con i fondamentali economico-finanziari in ordine) e quelli del Sud, strutturalmente fuori controllo. In Italia alla guida di un esecutivo a larghissima impronta centromeridionale e sostenuto da forze tendenzialmente antagoniste dei valori dell’impresa di mercato si trova un Premier non eletto, privo di legittimazione politica e di esperienza di governo. Non è detto che sia una ragione a favore dell’avvento di un “governo Angela”. Se nell’Europa in cantiere all’Italia è destinata un definitivo ruolo subalterno, il “governo Orsola” può rivelarsi ancora utile. Ad esempio per distruggere un capitalismo imprenditoriale tuttora diffuso e competitivo, facendolo oggetto di una “caccia alle streghe” di natura fiscale, sequestrandone i risparmi per alimentare l’assistenzialismo e statalizzare a forza le imprese stesse.