Presenti: 273. Votanti: 253. Astenuti: 17. Maggioranza 129. Favorevoli 253. Contrari 3. “La Camera approva”: nella circostanza la proroga dello stato di emergenza fino al prossimo 31 gennaio. Quando Giuseppe Conte festeggerà un anno tondo di pieni poteri, senza bisogno di alcuna virgoletta. Ma nessuno ci ha fatto più il minimo caso: neppure i giuristi pasdaran della “Costituzione più bella del mondo”. Non ci ha dato evidenza nemmeno il tabellone di Montecitorio, giustamente programmato senza spazi per rammentare che il plenum della Camera è di 630 deputati, con maggioranza ordinaria di 316. Due “parametri” immutati dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana nel 1948: e validi almeno fino a quando l’esito dell’ultimo referendum non diventerà esecutivo.



Nel frattempo il Governo ha ri-ottenuto dal maggior ramo del Parlamento nazionale poteri eccezionali – continuando a spogliare il Parlamento stesso di parte delle sue prerogative – con il favore di due deputati eletti su cinque. Ma sarebbe stato formalmente sufficiente poco più del 20 per cento: un italiano su cinque – nella democrazia rappresentativa – sarebbe bastato per fare – democraticamente – del Premier un simil-dittatore. 



Perché questo sia avvenuto è stato liquidato fin troppo sbrigativamente dalla cronaca politica, già in attesa dell’ennesimo Dpcm di nuova serie. Al primo tentativo di mettere in votazione la proroga alla Camera è mancato ufficialmente il numero legale (anche se ha fatto evidente capolino la debolezza politica del Conte-2). Solo un opaco intervento della giunta del regolamento della Camera – presieduta da Roberto Fico (M5S) – ha deciso in via breve di abbassare il quorum considerando “in missione” (cioè assenti giustificati) i parlamentari ufficialmente in quarantena-Covid. Di fronte a questa forzatura, le opposizioni hanno disertato il voto: delegittimando ancor di più un passaggio che si presenta, a guardar bene, senza precedenti. 



Neppure il governo Salandra – che nel maggio 1915 portò l’Italia in guerra – poté eludere un passaggio alla Camera. Al voto parteciparono 482 deputati su 508 e diedero poteri straordinari al governo con 407 sì. Perfino Benito Mussolini – quando il 3 gennaio 1925 si presentò a Montecitorio per la resa dei conti “anti-parlamentare” dopo il delitto Matteotti – controllava direttamente 276 deputati su 531 (e commisero comunque un errore fatale i 129 oppositori “aventiniani” a disertare la seduta, non accettando la sfida dell’impeachment messa sul tavolo dal futuro Duce). Quasi cent’anni dopo, nemmeno il vituperato premier ungherese Viktor Orban – sotto accusa nell’Ue per debole “stato di diritto” a Budapest – si è fatto affidare poteri d’emergenza in epoca Covid con un consenso parlamentare inferiore alla “metà dei voti più uno” (137 sì contro 62 fra no e astensioni). E lo stesso Parlamento magiaro – meno di tre mesi dopo – glieli ha revocati (192 sì, nessun contrario), prevedendo comunque che il Governo possa ripristinare “lo stato di pericolo” (con 135 sì e 57 non favorevoli).

La minoranza “iperqualificata” sembra comunque essere il criterio emergente di governo della cosa pubblica in Italia. E non solo nel Palazzo: ma anche nel Paese Reale. Centinaia di migliaia di condomini sparsi in tutta la penisola stanno prendendo le misure all’ecobonus del 110% per lavori di ristrutturazione energetica. Ebbene, amministratori e condomini hanno scoperto fra le pieghe del decreto Agosto e dei suoi emendamenti che la delibera per i lavori può essere assunta sulla carta dai portatori di un terzo dei millesimi condominiali qualora rappresentino la maggioranza degli intervenuti. E anche per una decisione impegnativa come l’indebitamento bancario del condominio – così come l’esercizio dell’opzione dello sconto in fattura o della cessione del credito – sarà sufficiente la maggioranza di un terzo dei millesimi di proprietà dell’edificio, invece dei due terzi finora richiesti. 

Qui in gioco non c’è la Costituzione, ma il codice civile: la “carta fondamentale” del diritto privato. Poco cambia: con il pretesto dell’emergenza il principio legale maggioritario della democrazia viene scientemente picconato fino ad affermare la dittatura della minoranza. Naturalmente per decreto legge, ormai a fatica distinguibile dai Dpcm di un Premier non eletto e ribaltonista. E questo avviene quando l’unico contrappeso istituzionale di un esecutivo “premieristico” è un Parlamento “aperto come una scatoletta” dal referendum giallorosso, fratturato dall’auto-deresponsabilizzazione del centrodestra; incapace di fronteggiare i super-governatori regionali, detentori di un consenso non meno abusivi di quello che auto-assegnatosi da Palazzo Chigi. 

Con quale “minoranza iperqualificata” due italiani su cinque decideranno – in questa post-democrazia spuria – che gli altri tre devono pagare più tasse per garantire il reddito di cittadinanza ai primi due?