Per il controllo della rete Tim si contrappongono da ieri due offerte: entrambe del valore di una ventina di miliardi di euro. I mercati (che ieri hanno premiato il titolo Tim) sono al lavoro per raccogliere e analizzare ogni dettaglio possibile sulle mosse del megafondo Usa Kkr e di Cassa depositi e prestiti, alleata del fondo australiano Macquarie (la loro controproposta sarebbe finanziariamente un po’ migliore di quella avanzata da Kkr).
Gli osservatori s’interrogano sia sulle scelte che attendono la francese Vivendi (che resta azionista di maggioranza relativa di Tim), sia sul risiko delle reti di nuova generazione, in predicato di attirare sostanziosi investimenti dal Pnrr. Ma è indubbio che i mercati non siano i protagonisti di quest’ennesima puntata di una telenovela iniziata un quarto di secolo fa.
Le due puntate iniziali – l’Ipo privatizzatoria di Telecom da parte del Governo Prodi e poi la leggendaria “Madre di tutte le Opa” lanciata da Olivetti due anni dopo – furono anzitutto offerte pubbliche: analisti e giornalisti non dovettero inseguire indiscrezioni. Invece l’offerta Kkr e quella rivale di Cdp e Macquarie sono offerte su un asset di Tim. Che già 15 anni fa un Governo (il secondo di Prodi) tentò di ripubblicizzare, scontrandosi però contro le regole di un mercato ancora non indebolito e screditato dal collasso del 2008 e dalle riprese più o meno “dopate” del decennio successivo.
All’inizio del 2023, comunque, il duello per l’ultima “spoglia” della vecchia Telecom appare inequivocabilmente significativo: vi si confrontano due “fondi sovrani”. Lo è per dimensione e rilievo strategico globale la privatissima Kkr e lo è per definizione la statalissima Cdp italiana, divenuta da tempo banca d’investimento pubblica. E in questo ruolo, nemesi per nemesi, la Cassa ha spodestato Mediobanca: protagonista assoluta quasi nei primi cinquant’anni di Italia repubblicana, come “centauro” fra Iri e capitalismo finanziario nazionale.
L’ultimo grande successo di Mediobanca, un anno prima della scomparsa del fondatore Enrico Cuccia, fu appunto l’Opa da 100mila miliardi di lire (poco più di 50 miliardi di euro, valuta neonata nel 1999). Un paradosso finale per un’istituzione abituata a usare la Borsa, ma costruendo i propri successi nelle stanze chiuse del potere politico e finanziario (con una salda collocazione “occidentale” e legami ombelicali con l’israelita Lazard, fra Francia e Wall Street). Oggi – sembra già possibile annotarlo – la finanza francese resta al tavolo (con il finanziere Vincent Bollorè, alleato di Vincenzo Maranghi) e la rete Tim sembra sul punto di essere ceduta quando la sua collocazione “occidentale” è ridivenuta strategica: Sparkle (cioè i cavi mediterranei a nord dell’Africa e verso Turchia e Medio Oriente) mai come in uno scenario di nuova Guerra fredda deve rimanere sotto stretto controllo Nato.
La Madre di tutte le Opa su Telecom fu un modo del potere finanziario statunitense di trarre il massimo profitto da una delle grande opportunità dell’epoca. Le offerte “nipoti” di oggi sulla rete sembrano puntare anzitutto a “risovranizzare” un asset dal valore principalmente geopolitico.
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