Il protagonista al forum di Sintra della Bce, in corso in questi giorni, è stato il Presidente della Fed Jerome Powell. Come da molti mesi a questa parte i mercati vivisezionano le sue parole per avere lumi sulle prossime mosse della Fed sui tassi. Ieri non è stata un’eccezione ed è bastato un tono leggermente più speranzoso sulla discesa dell’inflazione per muovere i mercati.
Dentro il discorso di Powell però c’è molto di più: “Il livello di debito che abbiamo non è insostenibile, ma il sentiero su cui siamo è insostenibile”. Powell sottolinea: “Gli Stati Uniti stanno registrando un deficit molto grande in una fase in cui siamo in piena occupazione”; se gli Stati Uniti hanno il deficit più alto tra i Paesi “occidentali” e molto più alto della media storica quando l’economia va molto bene, è lecito chiedersi cosa possa succedere se l’economia rallenta o va male. Infine, “nel lungo periodo dovremo fare qualcosa prima o poi e prima sarebbe meglio di poi”.
Secondo le ultime previsioni economiche pubblicate dalla Commissione europea a metà maggio, gli Stati Uniti hanno chiuso il 2023 con un deficit all’8,4% e nel 2024 chiuderanno al 7,5%; la Francia, che sarebbe la malata d’Europa e non solo, ha chiuso il 2023 con un deficit al 5,5% e quest’anno dovrebbe chiudere al 5,3%. Il debito pubblico su Pil è sostanzialmente equiparabile. La posizione netta sull’estero americana, negativa, negli ultimi cinque anni è raddoppiata e il deficit delle partite correnti è di gran lunga il più alto al mondo.
In queste settimane i debiti sovrani europei sono tornati di moda e non sono mancate le polemiche interne all’euro. Ieri Lorenzo Bini Smaghi, Presidente di Societe Generale, ha definito “scioccanti” le parole di settimana scorsa di Christian Lindner. Il ministro delle Finanze tedesco aveva dichiarato che un eventuale intervento della Bce in caso di cali dei titoli di stato francese, dopo le elezioni, sarebbe stato illegale. Una crisi dei debiti sovrani europei, dalla decisione di Macron di indire nuove elezioni, è diventata una possibilità di cui si discute quotidianamente. A differenza del 2012 non è chiaro però quanta voglia abbiano i tedeschi di “salvare l’euro”. Dieci anni fa, anche grazie alla valuta comune, Berlino prosperava, oggi invece ha perso l’accesso al gas russo e sui mercati tira una bruttissima aria di guerra commerciale. Chi paga per il rilancio europeo dentro i binari strettissimi di una transizione green che nessun altro vuole pagare, in uno scenario di lungo periodo inflattivo ed evitando, tra l’altro, tagli al welfare potenzialmente destabilizzanti? Senza i soldi tedeschi l’Europa non può neanche sperare, sempre ammesso che sia possibile, di superare questa fase. Ci sono tutti gli elementi per dipingere una storia di crisi interna europea.
Le parole di Powell, in questo quadro, sul “suo” debito e i “suoi” conti, però, scompaiano; non sono più di moda nemmeno quelle degli ad delle principali società finanziarie americane, Dimon di Jp Morgan e Fink di Blacrock su tutti, che da mesi descrivono le finanze americane come un’emergenza assoluta affiancando lo stesso aggettivo, “insostenibile”, ripetuto ieri da Powell. Gli Stati Uniti, ovviamente, hanno dalla loro la valuta di riserva globale e una forza politica e geopolitica che l’Europa non ha.
Mentre montano i problemi l’Europa non sembra rendersi conto, fino in fondo, di quello che accade. Unica tra i Paesi industrializzati rimane impegnata in una costosa transizione green che gli altri hanno deciso di non potersi permettere sia perché si stanno ristrutturando i commerci e le catene di fornitura, sia perché bisogna preservare ogni goccia di spazio fiscale per il welfare e i redditi delle famiglie. L’Italia ha inviato all’Unione europea il suo piano energetico con tassi di sviluppo delle rinnovabili mai visti, a forza di lauti incentivi, che nei prossimi anni non risolveranno il problema del prezzo dell’elettricità come dimostra il caso tedesco. Il 20% del prezzo dell’elettricità che pagano le famiglie italiane deriva dalla tassa sulla CO2 europea; le famiglie italiane se la possono ancora permettere? Per quanto? L’Europa si accoda alle battaglie di politica internazionale di “tutti” senza capire che in questo contesto è il soggetto più fragile anche a causa delle contraddizioni irrisolte dell’euro.
I mali degli Stati Uniti non sono una buona notizia per l’Europa perché alzano la temperatura per tutti e perché esasperano la competizione per i risparmi e i flussi finanziari. L’Europa non può non tener conto dei problemi americani e di uno scenario che è un lontano ricordo di quello del 2012. Invece, da fuori, l’Unione appare inconsapevole delle implicazioni del nuovo scenario che si è creato dal 2020 e questo è peggio, per gli investitori, di qualsiasi deficit; anche se molto più basso di quello di Washington.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.