Ieri si è votato in due medie regioni dell’Unione Europea: in Umbria, nell’Italia centrale; e in Turingia, un land della Germania centro-orientale. In ambedue le consultazioni hanno registrato sconfitte nette le forze politiche al governo nei rispettivi Paesi, entrambe nel perimetro del centrosinistra.
Se in Umbria il centrodestra a guida Lega si vede assegnare dagli exit polls per la prima volta la leadership amministrativa di una Regione finora ininterrottamente governata dalla sinistra (dal Pci al Pd), in Turingia si è imposta Die Linke, il partito erede del vecchio socialcomunismo della Germania Est. L’estrema sinistra si è rafforzata a spese di entrambi i partner dell’ormai piccola coalizione nazionale guidata da Angela Merkel. La Cdu è precipitata – secondo i sondaggi – dal 33,5 al 22,7% e scende da primo a terzo partito. La Spd si conferma in caduta libera – quarto partito – sotto la soglia del 10%.
La vera notizia elettorale da Erfurt è comunque che per la terza volta consecutiva la AfD di ultradestra ha registrato un boom (ieri un raddoppio a sfiorare il 25%). Non meno rilevante l’esito collegato: le proiezioni, infatti, tendono ad escludere che sia possibile ricostituire un bundesregierung fra Die Linke, Spd e Verdi (fermi a poco più del 5%). Al momento i media tedeschi profilano quindi una coalizione a quattro: con Fdp (se verrà confermato un risultato superiore al 5%) o con la stessa Cdu. In ogni caso: “Tutti contro AfD”.
In Umbria, d’altro canto, la coalizione “(quasi) tutti contro Salvini” – cementata dalla foto di Narni fra i leader di Pd, Leu e M5s con il premier Giuseppe Conte – è stata duramente sconfitta. Se il leader locale di Die Linke – il governatore Bodo Camelow – ha sintetizzato la sua vittoria sottolineando che “il 76% non ha votato AfD”, a Perugia la neo-governatrice Donatella Tesei difficilmente mancherà di rimarcare i 20 punti tendenziali di distacco inflitti al contender Vincenzo Bianconi sostenuto dal governo in carica, fresco di ribaltone parlamentare. E questo in una Regione in cui appena nove anni fa, la governatrice Catiuscia Marini – “rossa” fin dal nome e inciampata l’anno scorso in un’inchiesta sulla sanità umbra – aveva abbattuto 57 a 37 Popolo della Libertà e Lega (allora poco più forte del 4%).
Quanto è contato in Umbria il vento debole e maleodorante di una manovra “Orsola” più piena di tasse e di “manette agli evasori” che di quattrini e idee per la ripresa? Quanto conta – in Turingia come in Umbria – la totale assenza di una politica europea seria e condivisa di gestione dei flussi migratori? Qualcosa di più profondo sembra comunque accomunare due regioni diversamente “ex comuniste”: la contestazione aperta del progressivo “non governo” che dalle rispettive capitali distrugge valori economici e sociali in tutti i territori. Non può sorprendere che né il “distretto” italiano né quello tedesco siano statisticamente “poveri” nell’Unione Europea, ma si ritrovino altresì nella vasta Europa al di sotto delle medie (il Pil pro-capite è a quota 90 su 100 in Turingia e a quota 84 in Umbria).
E non è detto che l’essere al centro (del rettangolo tedesco o della penisola italiana) sia un vantaggio. A Erfurt può essere addirittura più percepibile che a Francoforte o Monaco di Baviera il drammatico silenzio della cancelleria di Berlino: dove la Merkel – anche per ragioni personali – non esercita più un controllo reale della Locomotiva d’Europa. A Perugia invece hanno potuto udire benissimo un premier mai eletto da nessuno – e palesemente privo di un ruolo minimo nel governo del Paese – affermare che il voto umbro non valeva più di quello della provincia di Lecce.