Questa volta sembra proprio che Adl, al secolo Aurelio De Laurentiis, abbia ragione. In una società che si basi sulla certezza del diritto i patti vanno rispettati (pacta sunt servanda). E la regola vale certamente più della deroga che, come dice la parola, in regola non può trasformarsi. Insomma, la faccenda del contratto firmato dal patron del Napoli e dal suo ex allenatore va presa sul serio.



Il fatto è noto. Al termine della gloriosa stagione che ha portato il club azzurro a conquistare il terzo scudetto (evviva!), Luciano Spalletti chiede di essere esonerato dall’impegno sottoscritto di restare un terzo anno perché molto stanco e provato. De Laurentiis non è proprio contento di lasciare andare prima del tempo l’ormai eroe cittadino, ma anche in considerazione dei meriti acquisiti accetta.



Non chiederà indennizzi per la rottura anticipata dell’intesa, ma vorrà accordarsi per un risarcimento – fissato in 3 milioni a scalare di 250mila euro per ogni mese dei dodici da trascorrere – nel caso che Spalletti per un qualsiasi motivo intendesse interrompere il periodo sabbatico che si era riproposto per riprendere il lavoro sui campi in erba derogando alla stessa decisione.

Nessuna questione legata alla concorrenza, ma una precauzione perché le ragioni del divorzio fossero rispettate. Ecco perché, se le informazioni fatte trapelare fossero confermate, il divieto di allenare per il tecnico toscano si estenderebbe dalle squadre ordinarie alla Nazionale con buona pace di chi vorrebbe in quest’ultimo caso far valere l’inconsistenza dell’accordo o il suo ragionevole superamento. Legittimo desiderio, ma non più di questo.



Ora il diavolo ha messo la coda proprio in questo contrastato spazio giuridico. L’improvviso addio di Roberto Mancini alla panchina della Nazionale, fatto pervenire in Figc attraverso un’e-mail sia pur certificata, ha gettato nel panico i vertici della Federazione che devono provvedere alla sostituzione in tempi record considerati gli appuntamenti settembrini con le qualificazioni ai campionati europei del 2024.

Preso in contropiede, è il caso dire, il presidente Gabriele Gravina si guarda intorno e non può non soffermarsi sull’apparentemente libero Spalletti – la cui bravura nessuno può contestare – e decidere che si tratti dell’uomo giusto da sistemare al posto giusto. Il tecnico sa di essere vincolato al fermo, ma di fronte alla grande opportunità che gli si presenta mostra di voler accettare l’offerta.

Tutto sembra potersi concludere con il classico “felici e contenti” se non fosse per la clausola che per sua e di sua volontà il mister ha promesso di rispettare con De Laurentiis e i tifosi napoletani che non intendono retrocedere dal patto. Si tratta di versare nelle casse del club azzurro circa 2,6 milioni in ragione di quanto resta dell’anno presunto sabbatico. Non poco ma neanche molto viste le finalità dell’esborso.

La cifra è a carico di Spalletti, versando la quale si apre alla prospettiva di ricevere un emolumento da 9 milioni: 3 milioni per ciascuna delle tre stagioni dell’ingaggio promesso. L’allenatore non sembra intenzionato a pagare e vorrebbe scaricare l’onere sulla Federazione che respinge questa possibilità confidando sulla comprensione di De Laurentiis che dovrebbe così rinunciare a quanto gli è dovuto.

Fare i generosi con le tasche degli altri viene facile a tutti. Ma il coriaceo proprietario del Napoli, che ha mostrato di saper far di conto e di quanto ciò sia di giovamento anche ai risultati sportivi, ha chiarito che non si tratta di una questione di “vil denaro” ma “di principio”. I patti sono stretti per essere rispettati anche e soprattutto quando ne viene a mancare la convenienza per una delle parti.

Da Napoli una lezione di serietà.

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