È del tutto evidente il carattere strumentale della proposta di Beppe Grillo di introdurre la patrimoniale già nella manovra 2021 al fine di evitare il ricorso al Mes, togliendo nel contempo l’esenzione dall’Imu ai beni della Chiesa. Il fondatore di M5s – com’è sua abitudine – alza il tiro in vista di un’ennesima strettoia politica. Il 9 dicembre il “governo dei Dpcm” non potrà evitare il test parlamentare sull’adesione dell’Italia alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità. E proprio il movimento grillino rischia di uscirne a pezzi; anzi, proprio sul fronte Ue ha già perso dei pezzi. Quattro dei 14 europarlamentari M5s hanno infatti deciso in questi giorni di passare al gruppo dei Verdi, che a Strasburgo rimangono antagonisti verso la coalizione Ppe-Pse-Alde, piedistallo della commissione von der Leyen e per molti versi anche del governo “Orsola” in Italia.



È da manuale che il comico ligure imbracci il radicalismo nel tentativo di serrare i ranghi del primo partito italiano. È naturale che un “lider maximo” come Grillo – un non parlamentare fondamentalmente anti-democratico – non abbia remore nello sparare fuoco amico contro l’ala governativa del suo stesso partito: quella che sotto la guida di Luigi Di Maio ha appreso in fretta l’arte del compromesso di palazzo (esemplare il ribaltone fra Conte 1 e Conte 2) e soprattutto apprezzato i benefici dell’uso spicciolo del potere. Non da ultimo, nei recenti Stati generali di M5s è maturato il ripudio della Casaleggio Associati (di fatto la joint venture fra Grillo e la famiglia Casaleggio per il controllo privato del partito).



Nel frattempo perfino un portavoce di storica intransigenza come Marco Travaglio ha sfoderato un’inattesa inclinazione alla realpolitik nel giustificare il “voto di scambio” con Silvio Berlusconi al prezzo di un emendamento “ad aziendam” salva-Mediaset pur di puntellare il premier Conte. Ma qualcosa dev’essersi rotto nella filiera politico-mediatico-giudiziaria grillina se la Procura di Milano – secondo rumor non smentiti – ha aperto un fascicolo sulle indiscrezioni (non smentite) riguardanti una ricca consulenza offerta da una multinazionale del tabacco alla Casaleggio Associati. Senza dimenticare l’emergere di nuove indiscrezioni di stampa sull’inchiesta giudiziaria per violenza sessuale riguardante Ciro Grillo, figlio di Beppe.



Ce n’era dunque in abbondanza perché Grillo tornasse sul palcoscenico con battute grevi, ma di sicuro effetto, che ammiccano anzitutto a Leu e all’ala sinistra del Pd, usciti per primi allo scoperto con la proposta di patrimoniale ideologica, nonché punitiva verso il Nord, dominato dai partiti del centrodestra. Ma un tribuno nato sulle piazze anti-bancarie del “risparmio tradito” tiene certamente nel mirino anche il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che con la mano destra negozia al tavolo Mes, con quella sinistra prepara la manovra 2021 e con i piedi spinge intanto la “ristatalizzazione” di UniCredit per salvare e rilanciare Mps. Il Pd verrebbe così a controllare entrambi i campioni nazionali bancari italiani, oltre al condominio con M5s in Cdp. È notoriamente un’ipotesi che non piace affatto a M5s, che si è ritrovato per la prima volta ad “avere un banca” piazzando al vertice di Mps a controllo statale Guido Bastianini, manager bancario attivo nella Genova di Grillo prima di passare a Siena.

Ma sparare nel mucchio delle prove di “inciucio” in corso nel vasto segmento centrista dell’emiciclo parlamentare non era evidentemente sufficiente agli occhi di Grillo. Il botto contro la Chiesa italiana “che non paga le tasse” è risuonato però molto più una cannonata che un petardo. Sono passati soltanto otto mesi – da un lockdown all’altro – dall’ultima domenica di Pasqua, quando un tweet di Grillo plaudì subito e apertamente a una “lettera ai movimenti popolari” firmata da Papa Francesco e pubblicata da Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani. In essa il Papa – che si rivolgeva in modo particolare ai “movimenti” latinoamericani – suggeriva: “Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base”. Una raccomandazione ripresa con naturale entusiasmo dal fondatore del partito che ha introdotto in Italia il “reddito di cittadinanza”, dopo una schiacciante affermazione elettorale costruita essenzialmente su quella promessa populista. Un “ringraziamento” al Papa era giunto, in quella stessa giornata pasquale, da Nicola Fratoianni, portavoce nazionale di Leu: lo stesso deputato che nei giorni scorsi ha firmato con Matteo Orfini – ex presidente del Pd – l’emendamento finalizzato a introdurre la patrimoniale già nell’architettura fiscale italiana del 2021.

Le prime settimane dell’emergenza pandemica sono state quelle di massima sintonia fra la Santa Sede, Grillo e lo stesso premier Conte. Nessuno ha dimenticato gli interventi autoritativi del Papa sulla stessa Cei, che ha ripetutamente contestato le restrizioni imposte dai Dpcm di Conte all’accesso alle chiese per le liturgie. È vero d’altronde che – almeno finora – M5s ha nei fatti congelato (anche se non archiviato) la storica freddezza verso la politica di accoglienza verso i migranti africani, sempre visti da Grillo & Co. come concorrenti sgraditi delle truppe elettorali pentastellate del Sud sui fronti del lavoro precario e dei sussidi pubblici.

I pentastellati hanno acconsentito anche a una modifica d’immagine dei “decreti sicurezza”, pur sottoscritti dal Conte 1: un passo sollecitato dal Quirinale e fortemente apprezzato anche dal Vaticano, che ha sempre giudicato la Lega e tutti i sovranismi mondiali una minaccia di tipo “nazista”. È stato anche per questo manifesto l’endorsement del Pontefice a Conte – assieme a quelli dei leader Ue e del presidente americano Donald Trump – nei giorni concitati del ribaltone politico italiano dell’agosto 2019. Nel febbraio scorso, il premier Conte e il suo omologo vaticano – il segretario di Stato, cardinale Piero Parolin – partecipando a una conferenza di Civiltà Cattolica, hanno espresso posizioni all’unisono sull’intero quadro geopolitico del Mediterraneo, dalla Libia al Medio Oriente, oggetto poche settimane dopo del convegno Cei di Bari alla presenza di Francesco.

Ora d’altronde Grillo – rilanciando la patrimoniale “sui ricchi” – ha voluto “raddoppiare” anche con la cancellazione di un lungo regime di “guarentigie” fiscali per i beni ecclesiastici, che risale di fatto al primo concordato del 1929. Perché?

Una risposta elementare dice che sembra di difficile sostenibilità politica – soprattutto per un governo come quello giallorosso  – una tassazione straordinaria sugli italiani (molti) che hanno un patrimonio superiore al mezzo milione di euro (prima casa compresa), mentre verrebbe mantenuto un regime di “elusione legalizzata” per diocesi o enti religiosi residenti in Italia con patrimoni di decine/centinaia di milioni se non talora di miliardi di euro (nonché percettori dei fondi “8 per mille”). E se uno showman come Grillo difficilmente può aver ignorato la pesante scadenza Imu del 16 dicembre (fiscale ma anche politico-mediatica), non si può dimenticare che sull’esenzione per la Chiesa incombe anche una recente pronuncia della Corte di giustizia Ue. Appare comunque un po’ singolare che a maneggiare contro la Chiesa l’arma Ue sia l’“amico” Grillo (peraltro in chiave anti-Mes e dunque anti-Ue) e non i “nemici” Salvini o Meloni.

Più strettamente politiche appaiono invece altre prospettive. La prima può individuare un pressing di Grillo verso una Santa Sede forse un po’ più tiepida di un tempo verso la maggioranza giallorossa, ma anche verso un episcopato italiano nel quale, già un anno fa, lo stesso presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, aveva segnalato l’esistenza di “divisioni”. Non è quindi del tutto inimmaginabile un Grillo che avverta brutalmente la Chiesa di tenere il dito pronto sul grilletto fiscale in caso di defezione cattolica dal “fronte Conte”. Oppure un Grillo che metta invece il dito su un nervo oggi oggettivamente scoperto e sofferente nell’organismo della Santa Sede: gli investimenti immobiliari e in generale la gestione del patrimonio vaticano, affidata ora da Papa Francesco all’ex segretario della Cei, Nunzio Galantino. Né sarebbe, infine, sorprendente se il fondatore di M5s volesse incunearsi strumentalmente – per via fiscale – nei momenti di “divisione ecclesiale” che possono frastagliare anche terreni di dottrina sociale e pratica economica.

In questo quadro fluido e complesso non è passato inosservato, su Avvenire di mercoledì, un editoriale firmato da Leonardo Becchetti. Prendendo spunto da una recente affermazione pastorale di Papa Francesco sulla necessità di valutare attentamente possibili “limiti alla proprietà privata” ai fini della generazione di bene comune, l’economista ha tratto linee di primo bilancio di una fase di intensa riflessione interna attorno alla dottrina sociale della Chiesa, a partire dall’evento “The Economy of Francesco” di Assisi per concludersi in stretta continuità con il “Festival della DSC” svoltosi da Verona in rete digitale fra 24 città italiane.

In un testo denso, problematicamente articolato e per questo incisivo, Becchetti nota fra l’altro: “La Chiesa non ha mai sposato l’eccesso… del pauperismo e ha sempre riconosciuto che la capacità di creare valore economico è una virtù sociale importantissima perché altrimenti non ci sarebbe nulla neanche da redistribuire attraverso il prelievo fiscale e destinare alla creazione di beni pubblici e alla tutela dei beni comuni”.

E ponendo direttamente sotto la lente i “beni demaniali ecclesiastici”, Becchetti non ha mancato di aprire una prospettiva originale e concreta: “Sono molte le proprietà demaniali ecclesiastiche e i beni degli enti religiosi che rischiano di rimanere abbandonati e improduttivi, assieme a tutti quelli dei privati in tempi difficili, in cui purtroppo il Paese invecchia e la situazione demografica è drammatica. Gli esempi frequenti di rigenerazione di queste proprietà – ad esempio attraverso la promozione di nuove aziende agricole affidate a giovani (proprietari e no) dotati di progetti validi e il comodato d’uso per destinare immobili altrimenti abbandonati a iniziative coerenti con la missione e la visione degli ordini religiosi e dei fedeli che ne hanno consentito l’acquisto con le proprie donazioni – rappresentano applicazioni importanti del discorso cristiano e del ragionamento del Papa sulla proprietà. La destinazione universale dei beni e il diritto non assoluto della proprietà non sono affatto un limite, ma un’opportunità per la generatività e la ricchezza di senso del nostro vivere”.