La repubblica mutante di Giuseppe Conte e dei suoi pittoreschi Dpcm può apparire bizzarra e perfino pericolosa nella sua pretesa di disciplinare starnuti e “affetti”: ma in realtà non sta germinando minacce di “derive autoritarie”. E chi ne agita lo spettro è solo agente di “confusione”, ha scritto su Repubblica l’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky.
“Una cosa è l’ubbidienza – scrive – altra cosa è la responsabilità. Il difetto è la confusione. La prima è cosa giuridica, la seconda è cosa etica. I mezzi per promuovere l’ubbidienza non sono quelli per promuovere la responsabilità. Anche quest’ultima implica doveri, ma sono doveri autonomi che ciascuno impone a se stesso in nome della libertà propria e degli altri, in nome cioè della solidarietà. Mescolare ubbidienza e responsabilità è cosa contraria alla natura dell’una e dell’altra, come mescolare soggezione e adesione, vincolo e libertà. Chiamare all’ubbidienza e sollecitare la responsabilità sono cose profondamente diverse. A ciascuno il suo: al governo le prescrizioni giuridiche (vietare, consentire e imporre), alla società nelle sue tante articolazioni, la promozione dell’etica della responsabilità”.
Sembra una pagina tratta direttamente da un trattato giuridico ed è certamente meritevole di discussione adeguata da parte dei pari di Zagrebelsky: a un tavolo sicuramente precluso ai giornalisti. Una riflessione di alta dottrina è stata tuttavia pubblicata su un giornale, alla vigilia di un confronto squisitamente politico: quello che ha visto oggi il premier rispondere al Parlamento dell’accusa di aver trasformato una democrazia costituzionale in una monocrazia ibrida e opaca, fuori dallo stato di diritto.
Il punto di vista del giurista laico torinese non sembra lasciar spazio a equivoci: assolve – nella forma ma implicitamente anche un po’ nella sostanza – un governo sempre più criticato per la gestione dell’emergenza coronavirus; e ritorce invece l’accusa contro innominate forze seminatrici di “confusione” e non di “responsabilità” nella società italiana.
In attesa di sviluppi – nel confronto politico e nel dibattito culturale – colpisce che un distinguo circonvoluto sulla necessità di “ubbidire in modo responsabile” al “governo del premier” e ai suoi ukase simil-zaristi venga dallo stesso costituzionalista che – sullo stesso giornale, nell’autunno 2018 – chiamava apertamente alla “disobbedienza civile” (sic) contro il “fantasma del fascismo” (sic). Il Paese avrebbe peraltro dovuto opporre “resistenza” (sic) – parve allora di capire anche violando eventualmente lo stato di diritto costituzionale – contro lo stesso premier Conte: allora alla guida di una maggioranza Lega-M5s, democraticamente formatasi in Parlamento.
Zagrebelsky concede evidentemente oggi al Conte 2 di limitare per Dpcm senza scadenza libertà individuali costituzionalmente protette o di emarginare il Parlamento anche di fronte all’assunzione di impegni politici e finanziari internazionali ciò che vigorosamente negava al Conte 1: il cui vicepremier Salvini (senatore eletto, a differenza del premier) è finito sotto processo per atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni di ministro dell’Interno sulla base di decreti-legge regolarmente convertiti dal Parlamento, in seguito mai aboliti neppure dalla nuova maggioranza e solo marginalmente toccati da una pronuncia della stessa Consulta.
A proposito: Marta Cartabia – successore di Zagrebelsky in carica al vertice della Corte Costituzionale – martedì ha pronunciato parole che sono finite senza difficoltà nei titoli di cronaca. “La Costituzione non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali” e “La Carta è la bussola anche nei tempi di crisi”. Non c’era bisogno neppure di leggere i testi dei resoconti sulla Relazione annuale della Consulta. Né c’è stata necessità di editoriali di commento, ribaltonisti del passato e negazionisti sul presente.