I “dossier di Perugia” sui politici e vip italiani, costruiti con accessi illegali alle banche dati dell’Antimafia. Le intercettazioni, da parte dell’intelligence russa, di alcuni generali tedeschi sull’invio di missili all’esercito ucraino. Le memorie in arrivo da parte di un ex giudice costituzionale italiano sulla discussione interna alla Consulta in una decina di pronunce recenti. Sono tre “fact-box” giunti negli ultimi giorni sui desk dei grandi media italiani. Con un dato in comune: sono tutti e tre “set di fatti” incontestabilmente veri. E di sicuro interesse giornalistico, anzi: in linea di principio utili per l’informazione dell’opinione pubblica in un contesto democratico come quello italiano ed europeo.



Ai “dossier di Perugia” i media nazionali hanno riservato ampio spazio e ha destato molto clamore che cinque giornalisti (fra cui quelli che hanno pubblicato per primi le notizie più sensibili) siano stati iscritti nel registro degli indagati assieme all’ufficiale autore degli accessi e – fra l’altro – a un importante magistrato antimafia. Le reazioni politico-istituzionali sono state tanto forti quanto contrastanti.



La Premier Giorgia Meloni – di fronte a un presunto “spionaggio” – ha duramente condannato “fatti gravissimi, con i quali la libertà di stampa non c’entra nulla”. Le ha fatto eco – indiretta ma leggibile – il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha preso lo spunto per una sua seconda “libera esternazione” nell’arco di dieci giorni (nuovamente a ridosso di un appuntamento elettorale regionale).

Mattarella si è espresso di nuovo a sostegno delle libertà costituzionali: quella “di stampa” non meno preziosa di quella di “pensiero, parola e riunione  pacifica”. Quest’ultima – secondo il Quirinale – era stata invece violata dalle forze dell’ordine che hanno impedito lo svolgimento delle prime manifestazioni anti-israeliane a Pisa (quelle successive – non contrastate in alcun modo – si sono segnalate anche per contestazioni aperte all’indirizzo della Premier e della Senatrice a vita Liliana Segre, ai confini dell’antisemitismo).



Le intercettazioni russe ai vertici della Bundeswehr sono state pubblicate da una testata online di Mosca, incardinata nel cuore della “democratura” del Cremlino. Il passaggio ha avuto un impatto violento in Germania: qui la maggioranza che sostiene il Cancelliere Olaf Scholz, già barcollante, ha subito un ennesimo colpo di credibilità su un versante critico come la lealtà alla Nato e all’Ucraina. Ovviamente nessun organo d’informazione della democrazia tedesca ha censurato il fatto. Altrettanto ovviamente, tuttavia, nessun osservatore giornalistico ha messo in dubbio la natura gravemente manipolatoria dell’operazione: una vero e proprio atto di guerra mediatica da parte di Vladimir Putin contro Berlino. La libertà di stampa è dunque servita, in Germania, principalmente per rendere l’opinione pubblica consapevole di quanto gravi siano i rischi di destabilizzazione portati dalle armi mediatiche della nuova Guerra calda & fredda (con notizie-bomba “verissime” non meno che con raffiche di fake).

Si preannuncia come vero (senza virgolette) anche un volume di ricordi e riflessioni  che sta per arrivare in libreria. S’intitola Le opinioni dissenzienti in Corte costituzionale. Dieci casi. Lo ha scritto Nicolò Zanon, giudice costituzionale per nove anni (gli ultimi due come vicepresidente della Corte) fino al novembre scorso. Costituzionalista di solida fama, è giunto alla Consulta fra le scelte dirette del presidente della Repubblica, all’epoca Giorgio Napolitano. Nei quattro anni precedenti era stato membro laico del Csm; come candidato dal Popolo delle libertà, nel 2010 Zanon era stato il più votato dal Parlamento, ben oltre la maggioranza qualificata richiesta del 60%.

Il giudice – per pochi mesi collega di Mattarella alla Consulta – è da sempre sostenitore della pubblicità delle opinioni dissenzienti nelle decisioni della Corte. Il libro di Zanon, salvo colpi di scena, conterrà quindi prevedibilmente dieci “opinioni dissenzienti” che il giudice ha evidentemente maturato. ma non ha mai potuto comunicare all’esterno mentre era in carica. Questo perché il vincolo al segreto sui lavori della Suprema corte italiana è tuttora totale. Ed è proprio questo l’argomento che ha innescato una campagna preventiva di stampa contro il libro in arrivo. E la campagna è partita su un organo d’informazione tradizionalmente vicino al Pd, nonché al Quirinale, per il quale la pubblicazione del libro è evidentemente inopportuna, forse oltre il limite del lecito.

Su un partecipante diretto a decisioni cruciali per la democrazia italiana continuerebbe dunque a pesare un divieto assoluto di raccontare “i fatti” di cui è stato testimone (riservato fino a che faceva parte del collegio). E le scelte di quindici giudici costituzionali (cinque nominati direttamente dal Quirinale, altri cinque da alte magistrature alla fine sotto l’alta vigilanza del Quirinale, altri cinque dal Parlamento, ma solo con maggioranza bipartisan) non possono evidentemente essere mai oggetto di piena “libertà di stampa”. E neppure di piena “libertà di pensiero e parola” di un importante scienziato del diritto, servitore dello Stato ai più alti livelli istituzionali.

Sembra invece lecito che un ex Presidente della Corte come Giuliano Amato possa aver rilasciato alla libera stampa una libera intervista in cui ha affermato che con la maggioranza di centrodestra “in Italia la democrazia è a rischio”. L’intervista è apparsa sulla stessa testata che oggi attacca preventivamente il suo ex collega Zanon: il quale, chiaramente, non ritiene fra i suoi compiti quello di esprimere giudizi politici su un Governo in carica; mentre pensa che sia ora che gli italiani sappiano – di prima mano giuridica – come opera il più importante fra gli organismi non elettivi (“indipendenti”) della democrazia repubblicana.

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