“Sapere chi c’era al tavolo e chi ha firmato è molto importante per capire con chi è stato fatto quest’accordo”. Non ha tutti i torti Emma Bonino a strillare sulla prima pagina della Stampa: “Chi ha firmato i patti di Doha?”. Quelli che hanno originato lo tsunami afghano degli ultimi giorni.
Per la verità una risposta ufficiale, anzi una wiki-risposta esiste: corposa e corredata di foto protocollari. I due firmatari citati in didascalia sono “il rappresentante Usa Zalmay Khalilzad e il rappresentante talebano Abdul Ghani Baradar”. Era il 29 febbraio 2020. L’ex ministro degli Esteri italiano però non si fida: “Lo hanno sottoscritto anche i signori della guerra e i relativi clan? L’Isis-K fa improvvisamente attentati: ne sapevamo qualcosa?”. Eccetera.
Eppure è stato il presidente “democrat” degli Stati Uniti, Joe Biden, a dare attuazione a Doha: senza cambiare una sola virgola rispetto all’amministrazione Trump. E Biden è stato eletto nel novembre scorso fra gli applausi di Bonino e della Open Society Foundation, il ricco think tank di George Soros che in Italia ha sempre sostenuto l’esponente radicale. E la commissione Ue – di cui Bonino ha fatto parte assieme a Mario Monti su indicazione del primo governo Berlusconi – è saldamente presidiata da tecnopolitici “democratici”: come la presidente Ppe tedesca, Ursula von der Leyen; l’alto commissario per la sicurezza, il socialista spagnolo Josep Borrell; l’ex premier dem italiano Paolo Gentiloni. Tutti in carica da fine 2019. Nessuno di loro sapeva nulla – o vigilava su qualcosa – nel febbraio 2020 e soprattutto nei 18 mesi successivi? E la predecessora di Borrell – l’ex ministro degli Esteri dem italiana Federica Mogherini, uscente nei mesi finali delle trattative – ne sapeva qualcosa? E il ministro degli Esteri italiano, il grillino M5s Luigi Di Maio, ininterrottamente in carica dopo il “ribaltone-Orsola” del 2019? E il premier M5s Giuseppe Conte? Nel “j’accuse” di Bonino non sono mai citati: a differenza della leader FdI Giorgia Meloni (ininterrottamente all’opposizione) o del premer ungherese Viktor Orbán. Inesorabilmente “colpevoli a prescindere”, di tutto: anche dei morti e del ritorno dell’oscurantismo islamico a Kabul.
Per la verità non sappiamo ancora tutto di un altro accordo internazionale: firmato ancora nel 2013 a Dublino. Sappiamo che i paesi membri della Ue – fra cui l’Italia – misero a patto a quel tavolo le linee guida sulla gestione dei flussi migratori: che già si muovevano principalmente verso l’Italia dalla Libia “liberata” dal regime di Gheddafi ma subito consegnata a “talebani” locali.
Sappiamo che l’Italia era rappresentata “al tavolo” di Dublino dalla stessa Bonino: ministro degli Esteri del governo presieduto da Enrico Letta (uno dei tre consecutivamente guidati dal Pd “non vincente” al voto del 2013 e sostenuto in misura decisiva dai senatori di centrodestra guidati da Denis Verdini).
Sappiamo quello che fu deciso ufficialmente, in linea di principio: che la Ue si impegnava ad accogliere i migranti dall’Africa “come un solo continente”. Abbiamo capito via via cosa fu deciso di fatto: che i migranti sarebbero sbarcati principalmente in Italia. Anzi: abbiamo osservato il governo italiano guidato da Matteo Renzi impegnarsi come parte attivissima nell’operazione Frontex-Triton (salvo poi osservare il governo Gentiloni negoziare con i “talebani libici” perché trattenessero i migranti secondo gli accordi del cosiddetto “piano Minniti”). Sappiamo tutto quello che è accaduto dopo sulle due sponde del canale di Sicilia: fino ad oggi.
Sappiamo anche che – a cavallo del voto 2018 – Bonino cominciò a “rivelare” che il governo Renzi aveva “barattato” l’accoglienza italiana ai barconi con flessibilità finanziaria discrezionale da parte di Bruxelles. Bonino attaccò il premier e leader Pd per un “patto scellerato perché gli sbarchi avvenissero tutti quanti in Italia. In cambio di un trattamento favorevole sui conti. E in violazione degli accordi di Dublino”.
Quindi: la firmataria degli accordi di Dublino da parte di un premier Pd (e attuale leader Pd) senza maggioranza accusò cinque anni dopo il premier-leader Pd successore (oggi fuoriuscito dai “dem”) di aver stravolto gli accordi di Dublino in sede attuativa, appena un anno dopo la sigla.
Tre anni dopo la denuncia – a otto anni dalla firma di Dublino – non sappiamo ancora né da Bonino né Renzi chi suggellò cosa, come e perché a Dublino a nome dell’Italia; e chi gestì cosa, come e perché da Roma nei tre anni successivi. Chissà se fra otto anni sapremo finalmente qualcosa: su Dublino o su Doha.