È almeno in parte scorretto ragionare dell’incendio della Torre dei Moro a Milano in chiave politico-elettorale. Però sarebbe  improprio – almeno giornalisticamente – anche non farlo per niente.

Fra quattro settimane i milanesi voteranno per rinnovare l’amministrazione comunale e il sindaco Beppe Sala corre per la conferma. Alla guida di un centrosinistra non più a trazione Pd, ma “green”. Con l’ambizione, anzi, di aprire in Italia – da Milano – uno spazio politico verde diverso da quello arcaico-novecentesco, morto e sepolto; e anche dall’ambientalismo antagonista che tanto ha contribuito al travolgente successo M5s al voto politico 2018.



La nuvola che domenica ha annerito lo “skyline” ambrosiano a decine di chilometri potrà essere archiviata come una “disastrosa fatalità”, anche se per caso fortunato non tragica come a Londra. La magistratura  potrà accertare illeciti più o meno gravi da parte di un progettista, di un’impresa di costruzioni, di un fornitore di materiali edili. Si spingerà a verificare l’operato delle diverse autorità amministrative che – anche presso il Comune di Milano – avrebbero dovuto controllare preventivamente e periodicamente la sicurezza di un edificio ultimato solo nel 2011.  



Gli esiti delle inchieste giudiziarie saranno prevedibilmente noti solo molti mesi dopo quelli politici del voto municipale. Però non c’è dubbio che la fumata nera alzatasi da Milano Sud abbia un po’ oscurato il “raggio verde” con cui Sala conta di respingere la sfida portata da centrodestra, con la candidatura a sindaco di Luca Bernardo. 

La Torre dei Moro è entrata nell’ecosistema urbano tre anni dopo che Milano strappò l’assegnazione dell’Expo 2015: quindi già nel pieno di un’era meneghina connotata dall’imprinting di Sala, dalla sua mutazione da manager industriale a tecnocrate e infine a politico. È da un decennio che la stella di Sala indica e in parte decide la rotta di una delle grandi metropoli europee: nella quale un vigoroso boom edilizio accompagna l’avventura squisitamente ambrosiana dello sviluppo post-industriale. L’Expo riservato alla sostenibilità alimentare del pianeta ha sintetizzato il “salismo”: il sogno di coniugare economia, società, ambiente, democrazia “glocale”. 



Negli anni del renzismo a Roma, la Milano del sindaco Sala – eletto cinque anni fa sulla scia dell’Expo – sembrava realizzare le premesse di una definitiva evoluzione post-ideologica della sinistra italiana, incarnata dal Pd. Già prima dell’irrompere del Covid, l’avanzata grillina del marzo 2018 ha in parte distrutto questo “dream”: con modalità non diverse da quelle usate dai talebani per demolire in pochi giorni il “nation building” euramericano in Afghanistan. Ci si è messa poi la pandemia a giocare contro Sala, nei giorni concitati di #milanononsiferma. Un incidente di percorso che però non ha fermato Sala: almeno finora. E potrebbe non fermarlo neppure nelle urne di ottobre se il suo “raggio verde” sarà ancora in grado di accecare Bernardo e diradare le ceneri sospese della Torre dei Moro. Senza tuttavia dimenticare che una settimana prima del primo turno a Milano, si terranno le elezioni politiche in Germania.

Quando nel marzo 2021 Sala annunciò la sua conversione verde, i Grunen tedeschi erano in testa ai sondaggi e la leader Annalena Baerbock era cancelliere “in pectore”, in diretta linea di successione ad Angela Merkel. Sei mesi dopo appare ormai quasi sfumata la prospettiva che i Verdi tedeschi – quelli “per eccellenza” nel ventunesimo secolo – possano emergere come primo partito a Berlino e dettare le regole del gioco per la formazione del nuovo governo. L’improvvisa “resurrezione” dell’Spd e del suo leader – il pragmatico ministro delle Finanze Olaf Scholz – potrebbe perfino preludere al rilancio della coalizione fra Cdu-Csu e socialdemocratici, non più “grande”, ma forse ancora sufficiente per tenere fuori dalla stanza dei bottoni le “estreme” (gli xenofobi di AfD e i post-comunisti di Linke) ma anche gli ambiziosi “Nuovi Verdi”.

Ecco: non sembrava un un paradosso immaginare Sala come leader centrista ideale di una coalizione “civica” fra un Pd ormai orfano del suo simbolo, gli epigoni di Forza Italia e una Lega post-salviniana. Invece indossa un’improbabile maglia verde, non sa quale spinta potrà assicurargli il Pd e nel frattempo ha stretto accordi con le incerte propaggini milanesi dell’M5s contiano.

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