Agosto 2018: Greta Thunberg, una studentessa svedese di 15 anni, compare prepotentemente sulla scena. E diventa, in pochi mesi, un fenomeno mondiale. Comincia “bigiando” la scuola ogni venerdì. Si mette davanti al parlamento svedese con un cartello che così recita: “Sciopero dalle lezioni per il clima”. I media cominciano a interessarsi del fenomeno e, grazie anche a una massiccia campagna sui social, Greta diventa un’icona del movimento che chiede ai governi misure concrete sull’ambiente. Nasce un gruppo di pressione che il 15 marzo 2019 organizza uno sciopero globale per il futuro che coinvolge ben 1.639 città, comprese quelle italiane.



Da lì in poi è una cavalcata delle Valchirie con la piccola pasionaria che viene invitata in tutto il mondo a esporre le sue tesi apocalittiche. In aprile partecipa addirittura a una seduta del Senato italiano. Suo il pippone sul clima e l’ambiente, con un finale ad effetto: “Per cambiare rotta sul clima restano solo 10 anni”.



La politica, visto il consenso di massa, non tarda ad adottare misure che vanno nella direzione propugnata da Greta e i gretini, lungo due direttive: lotta alla plastica e alle energie inquinanti e/o pericolose (centrali a carbone e gasolio, nucleare). La parola sostenibilità s’impone a più non posso e ce la troviamo ripetuta all’infinito in consessi e convegni vari.

Poi arriva la pandemia. E il mondo si ferma. Inizia la conta di morti e feriti. Ma per fortuna c’è la plastica. Siringhe, cannucce, protezioni varie: senza il tanto vituperato materiale inventato da un chimico italiano, il premio Nobel Giulio Natta, il numero dei morti sarebbe stato molto più alto.



Ma non è finita qui. La crescita esponenziale di prodotti in carta che possano sostituire la plastica – un esempio sono le vaschette per il confezionamento di prodotti freschi – provoca una richiesta abnorme. Ci si mettono anche le aziende dell’e-commerce. Per poter consegnare i loro prodotti, impacchettati con prodotti sostenibili ça va sans dire, fanno incetta di carta e cartone provocandone un aumento dei prezzi da far paura. Una tempesta perfetta con cui le aziende, dell’alimentare e non, stanno facendo ancora oggi i conti.

Poi arriva la guerra. E scopriamo improvvisamente che il gas ci arriva per il 40% dalla Russia. È quello che serve per alimentare le nostre caldaiette, per riscaldarsi e fare la doccia, e quelle industriali. Insomma Putin ci tiene per le palle e se ne fotte bellamente delle nostre sanzioni.

Ecco allora i governi europei correre tutti ai ripari. Macron, il premier francese, dichiara che il nucleare rappresenta la fonte di energia primaria per il Paese. E il suo governo prevede di sviluppare altre sette centrali sul territorio transalpino. Ovvero a due passi dall’Italia. La stessa cosa l’ha promessa il premier britannico Johnson. Biden è andato oltre: il presidente americano ha rinviato le restrizioni contro le estrazioni di petrolio e gas, anche nelle terre di proprietà federale.

E qui da noi che succede? Ci si lecca le ferite e si ammette tranquillamente che i piani energetici di tutti i governi, da circa 40 anni, sono stati tutti sbagliati. Si parla di ritorno al nucleare (era ora!) e della riapertura di centrali a carbone e gasolio. Non mancano richiami all’incremento delle energie rinnovabili. Ben sapendo però che l’eolico o il solare non potranno mai sostituire gli impianti della stragrande maggioranza delle aziende energivore.

Insomma, una retromarcia a 180 gradi. Alla faccia di Greta e i gretini, ormai scomparsi dalla circolazione. Anche perché non ci sono alternative: se vogliamo colpire pesantemente Putin, o moriamo di freddo e stenti oppure ci pigliamo un po’ di inquinamento in più.

Sono stato facile profeta. Queste cose le avevo scritte in due editoriali nell’aprile e giugno 2019. E mi ero beccato anche qualche critica… Parliamoci chiaro: non invoco certo un ritorno al passato. Il rispetto per l’ambiente e la natura deve certamente costituire un must in tutto il mondo. In una logica però di “gradualità intelligente”.

Le lezioni che stiamo ricevendo da pandemia e guerra sono preziose. Tutti vogliamo un mondo più buono, più giusto, più verde. Ma con giudizio.

Viene alla mente il Manzoni. Nei suoi Promessi Sposi racconta il tumulto di San Martino, avvenuto l’11 e 12 novembre 1628. La carrozza del prefetto spagnolo si ritrova nel bel mezzo dei rivoltosi che invocano il pane. E al povero e spaventato Antonio Ferrer non resta che consigliare al suo vetturino: “Adelante Pedro, si puedes… adelante… con juicio…”. Appunto, Greta: “Avanti ma con giudizio”.

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