Il contesto attuale ha congelato, malgrado la primavera alle porte, la stagione delle riforme. Rimane centrale, invece, la ricerca di risorse da usare per dare sostegno alle imprese sopravvissute alle restrizioni del Covid chiamate a fronteggiare le mancate scelte strutturali evidenziate nei due anni di pandemia e ancora più attuali con la crisi ucraina. Il cambio di paradigma sugli approvvigionamenti energetici sta provocando un’impennata dei costi di produzione costringendo molte aziende a interrompere, speriamo solo momentaneamente, l’attività produttiva.
Il settore più colpito è l’industria pesante, dalle acciaierie alle fonderie, ma a guardare bene a essere colpite sono tutti: aziende e famiglie. L’emergenza sociale che si sta palesando ha sollecitato la politica a intervenire per fronteggiare i rincari dell’energia nella sua accezione più ampia. Il Premier Draghi ha riaffermato più volte che altri scostamenti di bilancio non sono in agenda. Al momento il Governo ha adottato misure volte alla riduzione delle accise per calmierare il costo dei carburanti e dell’energia in genere e ha introdotto crediti di imposta, temporanei, in favore delle aziende individuate come energivore che stanno subendo i rincari. Parallelamente a ciò si è aperta la caccia per recuperare le risorse finanziarie da impiegare per fronteggiare i sostegni concessi alle aziende in crisi.
Per ridurre i costi del carburante è stata rispolverata l’accisa mobile: che si abbassa al crescere del prezzo di benzina e gasolio per alleggerire il carico complessivo. Non è un intervento innovativo essendoci un precedente risalente al 2007-2008, quando fu stabilito, di fronte a un prezzo del petrolio triplicato in pochi mesi, che le accise sarebbero state «diminuite al fine di compensare le maggiori entrate Iva derivanti dalle variazioni del prezzo internazionale del petrolio greggio». La versione attuale dell’intervento è simile e si basa sullo stesso meccanismo. Sarebbe interessante capire perché non divenga definitivo posto che gli effetti distorsivi del sistema vigente sono ciclicamente evidenti ormai da oltre un decennio. Del pari sarebbe interessante avere un bilancio delle accise per capire cosa ancora rimane da coprire, posto che non si ha un quadro definitivo del gettito.
Il Governo, sempre nell’intento di recuperare risorse, sta intervenendo introducendo un «contributo straordinario contro il caro bollette» a carico delle imprese operanti nel settore energetico. Si tratta di un (con)tributo che per finalità e soggetti obbligati richiama la Robin Hood Tax che consisteva in un’addizionale Ires a carico delle imprese del settore energetico. La preoccupazione odierna del Governo è quella di evitare di incorrere nella bocciatura della precedente norma pronunciata dalla Corte Costituzionale. In quest’ottica ha iniziato dalla denominazione individuandola come (con)tributo, evitando accuratamente di presentarla come tributo. L’impresa è sicuramente ambiziosa essendo difficilmente innegabile la sua natura tributaria.
È pacifico che il Governo voglia connaturarla quale prelievo avente natura solidaristica con ciò volendo superare le obiezioni di sindacabilità costituzionale per violazione dell’art. 53 Costituzione che “impone” al sistema fiscale di colpire la capacità contributiva. Si tratta di un principio sempre meno garantito dal nostro sistema fiscale che vede ridotto al minimo il principio della progressività e della capacità redistributiva dello stesso. Ritornando all’intervento in cantiere è opportuno evidenziare come il nuovo (con)tributo voglia colpire i sovraprofitti congiunturali volendo incidere sulla maggiore ricchezza «connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una determinata congiuntura».
Il meccanismo di calcolo è oggetto di un’attenta critica volta a far emergere come la sua applicazione determini una tassazione indiscriminata che talvolta non colpisce il sovraprofitto congiunturale in formazione. L’esperienza attuale conferma come nessuno sembra accorgersi che il nostro sistema tributario si caratterizza per l’incapacità di costruire un’imposta che intercetti in maniera equa i sovraprofitti congiunturali. È altrettanto innegabile come ci siano anche altri settori (cybersicurezza, sanitari, beni rifugio, armamenti, ecc.) che stanno godendo di sovraprofitti congiunturali, ma nessuno sembra accorgersene.
La prova del nove la si rinviene nella riforma del catasto che di fatto si configura come una patrimoniale che in pochi vogliono riconoscere. Non si comprende, infatti, quale sia l’incremento di valore che si vuole colpire. Non è ancora chiaro se l’individuazione dei nuovi estimi inciderà solo sui trasferimenti e/o anche sulle imposte comunali e non che hanno la base di calcolo legata agli estimi catastali. La motivazione che sta alla base della revisione degli estimi catastali non convince. Potrebbe convincere laddove la stessa fosse legata a interventi di riqualificazione urbana o di “recupero” indiretto delle migliorie agevolate dai bonus edilizi. In realtà, la revisione degli estimi catastali si configura, al pari del (con)tributo sui sovraprofitti energetici, solo un modo, facile, come un altro di fare cassa.
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