La proposta di aumentare l’importo massimo per l’utilizzo del denaro contante per i pagamenti delle singole transazioni economiche, ribadita in modo generico dalla presidente del Consiglio Meloni al Senato nell’occasione del voto di fiducia, ha scatenato l’ennesima polemica sui regali agli evasori. Coerente con l’intento di promuovere l’ennesima sanatoria per i crediti fiscali contenuta nel programma presentato dalla coalizione di centrodestra nel corso della campagna elettorale.
Nel concreto queste intenzioni, salvo riscontri diversi, sembrerebbero orientate ad aumentare il massimale per l’utilizzo del denaro contante a una soglia tra i 3 mila e i 5 mila euro, a mettere in campo l’ennesima rottamazione delle cartelle fiscali, aggiuntiva alle quattro varate negli ultimi 7 anni da altrettanti Governi di diversa estrazione politica, a elevare la soglia attuale della flax tax per i lavoratori autonomi e introdurla per l’intera platea dei contribuenti limitatamente alla quota del reddito dichiarato in aumento rispetto alla media dei tre anni precedenti.
Nel complesso, dato che viene ventilata pure la possibilità di introdurre il quoziente familiare per favorire le famiglie numerose, non è dato comprendere quale siano le vere priorità di una riforma fiscale del nuovo Governo di centrodestra, fatta salva la presa d’atto del definitivo accantonamento degli obiettivi della legge delega predisposta dal Governo Draghi nell’ottica di una riforma condivisa.
Il complesso di questi interventi, in particolare le scelte di aumentare la soglia per l’utilizzo del contante e di mettere in campo l’ennesima sanatoria per i crediti fiscali, vengono stigmatizzate dalle forze politiche dell’opposizione come un tentativo esplicito di favorire l’evasione fiscale.
I precedenti storici riguardo la limitazione dell’uso del contante, modificata per ben 10 volte nel corso degli ultimi 25 anni, non offrono conferme della validità della misura ai fini delle azioni di contrasto dell’evasione. I dubbi relativi all’opportunità di invertire la rotta sono motivati dall’indebolimento oggettivo della scelta di favorire la digitalizzazione del sistema dei pagamenti che rappresenta un contributo importante per la modernizzazione delle organizzazioni produttive.
La richiesta di un intervento aggiuntivo, e di portata più ampia di quelli precedenti per la riduzione degli importi da corrispondere all’erario per sanare i crediti fiscali, viene auspicata dall’Agenzia delle Entrate, motivata dalla sostanziale impossibilità di recuperare, per svariati motivi, il 90% dei 1.150 miliardi di euro di crediti fiscali vantati dalle Amministrazioni pubbliche e accumulati nel corso degli anni 2000.
Secondo il Direttore generale dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, mantenere attive le azioni di recupero di questi crediti, intitolati a 19 milioni di evasori conclamati, come da lui definiti, comporta un impiego di mezzi che distrae le risorse che dovrebbero essere destinate a contrastare l’evasione fiscale.
Dal canto loro i Governi di diversa estrazione politica, che negli ultimi 6 anni hanno promosso ben 5 provvedimenti precedenti (rottamazioni dei debiti fiscali e saldo e stralcio delle posizioni debitorie) con esiti finali inferiori alle previsioni, hanno fatto buon viso a cattivo gioco utilizzando le previsioni delle entrate fiscali per compensare gli aumenti della spesa pubblica derivanti dalla messa in campo delle promesse elettorali. Le nuove rottamazioni, per avere una realistica possibilità di successo, non possono fare altro che ampliare le platee e gli importi degli sconti riservate finora ai contribuenti. Fino ad arrivare, come avvenuto con il Governo Draghi, alla cancellazione dei crediti di portata limitata, fino a 5.000 euro, precedenti al 2010 .
La “pace fiscale” proposta dal centrodestra non può essere che la naturale evoluzione di questo percorso. L’approccio pragmatico, suggerito dall’Agenzia delle Entrate, rappresenta una beffa per i contribuenti onesti, che le Autorità di turno, Meloni compresa, cercano di camuffare con il proposito di rafforzare l’azione di contrasto verso i “Grandi evasori” con l’intento di rappresentare l’ennesima sanatoria come un un modo per attenuare le difficoltà della platea dei piccoli contribuenti che per svariate ragioni economiche non sono stati in grado di onorare gli obblighi fiscali.
Una rappresentazione che trova certamente conferma per una fascia di contribuenti in seria difficoltà economica, ma che rimane lontana dell’interpretare correttamente il complesso fenomeno dell’evasione fiscale in Italia, le caratteristiche dell’economia sommersa e la sua funzione nella formazione e nella distribuzione del reddito. Una realtà che è diversa dalla rigida separazione tra contribuenti onesti e disonesti e tra grandi e piccoli evasori che viene descritta nelle narrazioni politiche prevalenti.
Le analisi dell’Istat sull’economia sommersa rivelano uno zoccolo duro delle prestazioni sommerse, delle sotto dichiarazioni fiscali e delle attività illegali (oltre 200 miliardi di euro, la metà dei quali sottratti al fisco) che coinvolgono in presa diretta (prestazioni non dichiarate) o indiretta (sconti per le mancate fatturazioni e degli scontrini) milioni di contribuenti e di famiglie. Un fenomeno capace di resistere dalla molteplicità dei provvedimenti di contrasto adottati nel corso degli anni (incrocio banche dati, analisi dei fattori di rischio, obbligo pos, limiti per l’uso del contante).
Nel recente passato abbiamo alcune analisi dettagliate di questi fenomeni sulla base delle indagini Istat sull’economia non osservata e delle relazioni annuali del ministero dell’Economia al Parlamento sull’andamento delle entrate fiscali e le stime dell’evasione, che hanno messo in evidenza i tre aspetti caratteristici delle economie sommerse: la grande partecipazione di massa al fenomeno, con circa 9 milioni di prestatori d’opera dipendenti e autonomi per un valore equivalente di 3,5 milioni di posti di lavoro a tempo pieno, all’interno dei quali la componente effettivamente sottoremunerata, in particolare i lavoratori immigrati, risulta minoritaria; la loro importanza per la sostenibilità dei redditi delle famiglie, in particolare per l’acquisto dei servizi verso le persone, per le abitazioni e i mezzi di trasporto e le attività ludiche; la sua integrazione con la formazione dei prezzi finali in molte filiere produttive (agroalimentare, costruzioni, logistica, riparazioni, accoglienza e ristorazione, distribuzione, assistenza alle persone).
Queste tendenze vengono riscontrate in modo speculare: nelle proiezioni sull’andamento dei consumi, che risulta largamente superiore a quello dell’economia ufficiale soprattutto nelle aree con un’elevata incidenza del lavoro sommerso; all’aumento dei depositi bancari delle famiglie e delle imprese superiore negli ultimi due anni agli aiuti erogati dallo Stato, nella scandalosa rappresentazione del 41% dei contribuenti italiani che non versa nemmeno un euro nelle casse dell’erario.
Dall’analisi delle economie sommerse emerge un’Italia diversa da quella che viene rappresentata dalle narrazioni politiche prevalenti, affollata di famiglie, piccole imprese in perenne difficoltà e di persone impoverite. Nell’insieme bisognose di aiuti crescenti da parte dello Stato per assecondare ogni sorta di rivendicazione senza alcun discrimine, salvo quello di selezionare i beneficiari tramite le dichiarazioni Isee che risultano per la gran parte inattendibili. Una tendenza che accomuna in via di fatto gli orientamenti delle principali forze politiche parlamentari, e che si distinguono al loro interno per l’utilizzo dei linguaggi (la sinistra preferisce definire i condoni con il termine rottamazioni, la destra come pace fiscale) e per le sensibilità verso i rispettivi ceti di riferimento elettorale. Incapaci di comprendere la natura principale del fenomeno: la presenza costante di massa di piccoli grandi evasori con le conseguenze che ne derivano sul piano economico in termini di formazione e di distribuzione del reddito, e per la correttezza dei rapporti tra i cittadini e lo Stato.
Questo modo di procedere, che privilegia la soddisfazione delle esigenze elettorali a quelle di medio lungo periodo del sistema economico (ad esempio, l’esigenza di potenziare l’attrazione degli investimenti e la crescita della produttività) e di quello sociale (la ripresa della natalità e il sostegno alla cura delle persone non autosufficienti), impedisce in via di fatto di affinare le iniziative pubbliche rivolte a contrastare il lavoro sommerso, per scoraggiare i comportamenti devianti e premiare quelli virtuosi, per aumentare l’efficacia delle politiche redistributive.
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