Il Premier Conte ha dichiarato: “A breve riforma fiscale e anche dell’Iva“. È una dichiarazione che attende di prendere forma. Non è chiaro, infatti, se anticipa le riforme annunciate o se conferma il rinvio a settembre delle stesse lasciando deluse le partite Iva.

Gli operatori economici sanno che questo periodo dell’anno è già normalmente ricco di adempimenti e scadenze. Quest’anno la situazione è ancora più caotica perché alle scadenze naturali si aggiungono quelle nate dai rinvii intervenuti in pieno lockdown. Le aziende in piena crisi di liquidità auspicavano interventi seri e stabili che consentissero loro di affrontare la ripresa, ma hanno ricevuto solo interventi spot. Anche il dibattito politico in corso ha evidenziato la mancanza di programmazione. La situazione che si è determinata non deve essere interpretata come abbandono, ma vede le aziende destinatarie di un approccio superficiale.



In questo contesto di incertezza si è materializzata la proroga tacita della scadenza per l’applicazione dello split payment, che autorizza lo Stato italiano a imporre, ai fini Iva, l’istituto della scissione dei pagamenti e si applica solo ai rapporti fornitore/cliente in cui una delle controparti è la Pubblica amministrazione e/o aziende quotate. In sostanza il fornitore, soggetto allo split payment, non riceverà la liquidazione dell’Iva che verrà versata dal committente direttamente all’Erario.



Operando in questo modo le ragioni dell’Erario sono tutelate in quanto si evita il rischio che l’Iva venga trattenuta nelle casse dei contribuenti. Il contribuente, quindi, vede “manipolato” a suo svantaggio il sistema di liquidazione dell’imposta sul quale si fonda il regime Iva italiano. Attraverso lo split payment, infatti, non incassa l’Iva mentre paga l’imposta dovuta sugli acquisti che effettua normalmente nella sua attività. Ne risulta alterata la gestione finanziaria delle aziende che maturano posizioni creditorie verso l’Erario accrescendo la carenza di liquidità.



La situazione che si è determinata è bizzarra perché di fronte a una copertura normativa intervenuta venerdì e, dunque, a posteriori rispetto alla scadenza del 30 giugno, manca e non è stata prevista alcuna tutela per l’imprenditore.

Il Mef si è affrettato a far sapere che ha ricalcolato il tempo medio dei rimborsi Iva che si assesta ora sui 67 giorni, tempo che non favorisce la liquidità dell’azienda. A oggi sono già molti i miliardi che le imprese vantano dallo Stato e non si sente il bisogno di accumularne altri.

Come risolvere questo aspetto? Mutuando istituti già disponibili che vanno oltre quelli ordinari del rimborso Iva, trimestrale e annuale, alla compensazione previa apposizione del visto di conformità, ecc.

Si potrebbe prevedere la traslazione, anche in questo ambito, della possibilità di acquistare taluni beni, tipicamente inerenti l’attività di impresa, in esenzione Iva, come fanno gli esportatori abituali. Altra alternativa potrebbe essere estendere il meccanismo del reverse charge anche ai soggetti destinatari dello split payment.

Non adottare correttivi equivale a far pensare che il mondo delle aziende continua a non essere una priorità per questo esecutivo.

In una recente intervista anche l’ex ministro Visco sembra confermare che solo taluni provvedimenti adottati per contrastare l’evasione di massa nel nostro Paese “hanno prodotto risultati positivi, tuttavia, per quanto riguarda la fatturazione elettronica, di molto inferiori alle (mie) aspettative.”

È urgente dunque intervenire con semplificazioni serie. La proroga dello split payment, l’introduzione del voucher vacanze e di molti altri crediti di imposta provocano tutti una riduzione della liquidità aziendale e un aumento delle procedure amministrative.