L’apertura del ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz su un meccanismo europeo di assicurazione dei depositi bancari è in sé molto rilevante. Tanto che perfino il Financial Times – che l’ha ospitata come op-ed – l’ha commentata con sorpresa, per quanto ironica (“il voltafaccia tedesco”). Il timing e i modi della sortita politica sembrano in effetti prevalere sul suo contenuto economico-finanziario, pur importante.
La scelta di un intervento giornalistico sembra anzitutto minimale: meno pesante anche di un semplice discorso a una conferenza, per non parlare di prese di posizione più politico-istituzionali. Ma è evidentemente il massimo che può consentirsi in questa fase l’establishment di Berlino, neppure compatto. È un fatto, tuttavia, che Scholz abbia rotto un muro di silenzio eretto dalla Germania fin dalle euro-elezioni del 26 maggio su tutti i fronti europei. Però sembra difficile assegnare all’uscita quel significato pieno e alto che probabilmente vorrebbe manifestare: una Germania desiderosa di esercitare la sua leadership nell’Ue, nei gangli strategici della moneta unica, delle banche, delle finanze pubbliche.
A pronunciarsi non è stato infatti il cancelliere Angela Merkel – sempre più avvolta nel suo lungo crepuscolo – ma il suo vice, esponente di vertice della Spd: il partner sempre più debole della coalizione di governo. E Scholz oggi è anzitutto (ri)candidato alla guida della stessa socialdemocrazia tedesca. Il 30 novembre è infatti in programma il ballottaggio conclusivo fra due coppie di candidati co-leader: Scholz in tandem con la deputata del Parlamento del Brandeburgo, Klara Geywitz (assieme hanno totalizzato il 22,6% dei voti alle “primarie” di fine ottobre), e il duo composto dall’ex ministro delle Finanze del Nordreno-Vestfalia Norbert Walter-Borjans, e la parlamentare Saskia Esken (21%).
Il nocciolo della contesa è semplice e per certi versi drammatico: Scholz vuol insistere nella coalizione con Cdu-Csu fino alla scadenza elettorale del 2021, i suoi avversari, invece, vorrebbero lasciare subito Merkel & Co. e “rifondare” il partito ormai schiacciato su ogni fronte (soprattutto da Grünen e Linke). Non è quindi facile distinguere – nella carta calata da Scholz – una condizione posta “da sinistra” ai “falchi” dell’austerity (in Germania e in Europa) da un segnale più strategico lanciato dalla coalizione Merkel (non sembra banale neppure la stessa scelta del quotidiano della City, in questi giorni schieratissimo contro Boris Johnson e Brexit).
Scholz ha parlato comunque poche ore dopo il cambio della guardia al vertice Bce. Il 31 ottobre è uscito di scena Mario Draghi: mastermind dell’Unione bancaria e propugnatore strenuo nella necessità di completarne la costruzione con l’assicurazione dei depositi. Ed è di appena due giorni fa l’esordio del successore all’Eurotower, la francese Christine Lagarde: a Berlino, con un pubblico omaggio al “falco” tedesco per eccellenza, Wolfgang Schäuble, oggi presidente del Bundestag. Su questo sfondo è stato Scholz autonomamente o una Merkel in low profile a tenere aperto il confronto sul futuro della politica finanziaria in Europa? L’assicurazione sui depositi bancari è parente prossima del tabù per eccellenza del rigorismo nordico: la gestione condivisa dei debiti pubblici e l’emissione di eurobond.
Ma c’è dell’altro, a cavallo del Reno: sempre dettato da una cronaca concitata. Riuscirà Ursula von der Leyen a entrare finalmente in carica a Bruxelles come presidente della Commissione Ue? Contro di lei hanno già giocato – al momento della designazione da parte dei capi di governo Ue – proprio i socialdemocratici tedeschi, che hanno impedito alla stessa Merkel di appoggiarla in Consiglio Ue e le hanno fatto poi mancare voti che avrebbero potuto essere fatali al primo esame a Strasburgo. Ora contro l’ex ministra tedesca si è ritrovato anche il suo “fan” tattico di luglio: il presidente francese Emmanuel Macron, contrariato dalla bocciatura euro-parlamentare della candidata commissaria francese Sylvie Goulard. La mossa di Scholz è un ballon d’essai per ammorbidire da un lato le “colombe” Spd anti-von der Leyen e migliorare dall’altro l’umore di Macron, finora sempre frustrato da Berlino nel suo movimentismo euro-riformista?
Non mancano, infine, elementi di scenario più prosaici. La crisi della maggiore banca tedesca – la Deutsche – sembra senza fine. Il gruppo ha annunciato un rosso profondo anche per il terzo trimestre del 2019. La Germania si accinge a qualche forma di riassetto-salvataggio non del tutto conforme al galateo rigorista imposto dall’Ue a trazione tedesca alle “banche degli altri”? L’improvvisa apertura tedesca sullo scacchiere creditizio da parte del vicepremier – grande supporter, in primavera, del fallito progetto di fusione Deutsche-Commerz – acquisirebbe significati specifici.
Quali che siano state la motivazioni di Scholz in versione giornalistica, non occorrerà attendere molto per verificarne gli esiti.